Scenari

Scricchiolano le culture centraliste. Dopo il voto, c’è la “quarta gamma”

Nel gioco delle tre carte una vince e le altre due perdono...

Nel gioco delle tre carte una vince e le altre due perdono. Si tratta di una regola semplice ed onesta se applicata “senza trucchi e senza inganni”, nella formula recitata e ripetuta dal banditore per la raccolta delle puntate. Salvo poi scappare con la posta. Metafora mutuabile nelle campagne elettorali: efficace per la conquista dei consensi, negletta nella conta e valutazione dei voti usciti dalle urne. A risultati acquisiti cambiano gli umori, come è giusto che sia, sulla fattibilità delle cose dette, a seconda della fiducia ricevuta. Ma ciò che dà l’impressione di una similitudine dei comportamenti dei professionisti della politica con quelli dei banditori è l’attitudine alla fuga dalle responsabilità quando nessuno è disponibile a dichiararsi perdente o di avere preso qualche schiaffo.
A conclusione dell’ultima tornata di consultazioni amministrative abbiamo letto una narrazione renziana supportata da un grafico più adatto a descrivere l’andamento di una competizione sportiva, come una sorta di tabellino in cui spiccano i calci d’angolo piuttosto che i goal fatti e subiti. Qualcosa di poco utile per radiografare e spiegare la mobilità dei flussi elettorali venuti meno al Pd. Dall’altra parte c’è l’esultanza del centrodestra per il recupero di gradimenti riconducibili da Silvio Berlusconi ad un modello moderato e liberale, ma contestato da Matteo Salvini e da Giorgia Meloni in quanto categoria politica fuori tempo. Il terzo giocatore seduto al tavolo della contesa per il primato nazionale, il Movimento pentastellato ha guadagnato poca cosa rispetto al credito attribuitogli dai sondaggi nell’ipotesi di una consultazione politica. Il che, aggiunto alla vittoria dell’eretico Pizzarotti a Parma, mette a nudo la carenza di una strategia a crescita lenta, anche se continua secondo il commento a caldo di Beppe Grillo.
Riepilogando i dati riferiti ai 160 comuni superiori ai 15mila abitanti è vero che il centrosinistra detiene il primato con 67 amministrazioni locali conquistate o confermate contro 59 andate al centrodestra, 8 a M5s, 20 civiche, 2 alla sinistra ed altrettante al centro, ma non si può sottacere per onestà di valutazioni che il Pd assieme ai suoi alleati partiva da 81 Municipi amministrati, il centrodestra da 41 e cinquestelle da tre. Sono numeri dentro i quali giocano dinamiche locali non tutte configurabili in un contesto di relazioni politiche nazionali. In questo senso non è un modo di svicolare il commento di Matteo Renzi sul valore amministrativo del voto manifestato a macchia di leopardo. Si presta, viceversa, ad altra valutazione la sequenza di risultati conseguiti nel lungo periodo. Con la sua conduzione il Pd dopo l’exploit del 40% conseguito alle europee ha subìto la sconfitta sul referendum costituzionale ed insuccessi, tranne Milano, nel 2015 e 2017 per il governo di città significative sul piano politico, non tanto per l’alternanza con i tradizionali dirimpettai di centrodestra quanto per l’insorgenza di nuovi soggetti: Cinquestelle a Roma e Torino, de Magistris a Napoli ed Orlando a Palermo. Quest’ultimi due nelle loro città, sganciati da ortodossie partitiche, si definiscono come espressione di un “civismo politico” nel quale si fondono istanze dal basso, alleanze e prospettive di tendenze anche diverse tra loro. Si tratta di una sorta di crogiuolo, quello che gli americani chiamano melting-pot, che ha dato origine in passato anche al leghismo ed allo stesso movimento dei pentastellati.
Come dire che va delineandosi, sia pure dai livelli locali, una “quarta gamma” non solo alternativa ma dissonante rispetto alle culture centralistiche delle forze politiche istituzionalizzate di vecchio e nuovo conio. La loro risposta non è pervenuta, ma neanche se ne colgono segnali dal pubblico dibattito in corso sulla legge elettorale, rimandato a settembre, come se gli schiaffi usciti dalle urne o la diserzione dalla partecipazione al voto non toccassero alcuna faccia. Come nella gag, a Studio Uno della Rai, di Totò e Mario Castellani, nella quale il Principe De Curtis ride per gli schiaffi ricevuti da uno sconosciuto che lo chiamava Pasquale ed all’irritazione della sua spalla per non avere reagito risponde in maniera esilarante: “Ma che so Pasquale io?”.
©RIPRODUZIONE RISERVATA