LA STORIA

San Matteo, le ragioni di una conversione

Nella vicenda del “doganiere” di Cafarnao si è sempre nascosto un grande desiderio di giustizia e di equità sociale

Secondo la visione hegeliana, l’umanità si evolve nel realizzarsi sempre più perfetto e perfettibile della Ragione che si dispiega nel costrutto storico. Sicuro e certo è, quindi, il progresso. Eppure, alcuni fondamenti del vivere comune, alcuni problemi sociali restano, pure nel mutare dei tempi, elementi statici, cruciali e complessi e, a volte, insolubili. O, comunque, sempre proponibili e mai del tutto componibili. Tale il problema del fisco, il gravame delle imposte. La vicenda esistenziale di Levi-Matteo, figlio di Alfeo, pubblicano e gabelliere, rispecchia uno spaccato attualissimo della società contemporanea. Ma, nel doganiere Matteo, nell’esattore che frodava sul “surplus” delle riscossioni, traditore della patria, impuro e peccatore, privato dalle autorità giudaiche di molti diritti civili, come quello di rendere testimonianza, si nascondeva certamente un desiderio di giustizia e di equità sociale. Altrimenti, la sua conversione e la sua chiamata risulterebbero incomprensibili e inspiegabili. Oggi, avvengono tra quelli che contano sempre più frequenti incontri formali per negoziare qualcosa. Molte volte, senza alcun costrutto. Nel convito in casa Levi, invece, Gesù enuncia il “credo” del movimento nazareno, opposto sia all’estremismo che al conservatorismo del tempo, in nome di una maggiore democraticità ed uguaglianza (“Nihil novi sub sole” Destra e Sinistra schierate ideologicamente, dalla notte dei tempi). Questo il testo: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate e imparate cosa significhi misericordia, e non sacrificio. Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori” . Così Gesù si rappresenta ai farisei, agli ipocriti che allora, come ora, avvelenano e confondono la vita sociale, generando drammatici risentimenti tra i cittadini. Una chiarezza di intenti e di giudizio, oggi pressoché introvabile. L’antagonismo ferreo, la distanza di vedute e di visioni, e, perché no? , la pochezza intellettuale e l’incoerenza morale hanno reso la nostra società litigiosa, a volte ingovernabile, causa la verità “solo di parte” e gli interessi settari che finiscono per sormontare i principi universali di libertà e di giustizia. Magari la nostra società potesse vantare un Salvatore della patria che passa, vede, chiama: “Seguimi” e un Levi- Matteo, dono di Dio (questo il significato del nome, in ebraico) che risponde prontamente e si ridenomina nella dignità dei chiamati: più che la saggezza dello sciocco, Matteo si rappresenta nella follia dei saggi, nel coraggio e nella determinazione di appartenere alla sequela di Cristo, ai giusti, ai misericordiosi. Forse tornare all’antico suonerebbe segno di progresso, ha detto qualcuno. Sul lato esterno del muro di Delfi v’era scritto: “Niente di troppo”. Gli antichi ci suggeriscono, dunque, come valore la medietà, la normalità, la semplicità. Così Papa Francesco. Perché altro è povertà, altro miseria. Altro è povertà onorevole, altro povertà cenciosa. Altro indigenza, altro povertà di idee o dichiarazioni di intenti altisonanti, altro capacità di inventiva e di iniziativa. Troppo impegnati a compiangerci non ci rendiamo conto delle molte potenzialità del nostro Paese. Altro è essere gregari (ha detto qualcuno), altro spiriti liberi, capaci di prontezza, come Matteo che risponde alla chiamata, senza esitazione alcuna. Altro è decadenza, altro volontà di reazione. Altro è miseria, altro è miserie, calcolo, viltà d’animo, povertà di spirito. _ Altroè l’indigenza, altro la “mendicità” dei questuanti. Matteo lascia prontamente il profitto del “denaro sporco” ed è solo dopo che diventa veramente ricco. Perché non è Mercurio, il dio del commercio, che stabilisce il listino prezzi, ma è Cristo, l’Unto, che enuncia la scala dei valori. Bisogna forse superare la crisi attuale, tornando alla normalità, al New Normal (ha detto qualcuno), ridando dignità al lavoro e valore non solo strumentale al denaro. Così ammonisce la vicenda esistenziale di Matteo. Eppure, ancora oggi più che mai, i dissesti, le crisi sociali, i momenti peggiori ci provengono generalmente da un drappello di finanzieri che dettano i loro diktat, che agiscono solo per tornaconto personale e non per il bene collettivo. Le ruberie sono indomabili nell’Uomo più che i terremoti in Natura. Senza contare che, oggi, non possiamo neppure più affidarci al potere provvidenziale della mano invisibile del mercato, data la globalizzazione e la circolazione di merci e di persone. Così è, se vi pare.