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Salerno e Napoli: una scintilla poi scoccata nel segno del Teatro festival

Il drammaturgo campano Ruggero Cappuccio nominato direttore artistico. In città la memoria dell’opera di Leo de Berardinis, la Scena segreta e FormArt

NAPOLI. «L’incontro di due città, di due anime, di due destini, in una Napoli lacerata dalle ferite della seconda Guerra Mondiale, che si porta dentro segni evidenti di oscure e misteriose deflagrazioni. Fisiche e spirituali». Con queste parole, il drammaturgo napoletano Ruggero Cappuccio presentò “Delirio marginale”, l’opera-debutto che nel 1993, gli valse il premio Idi Autori nuovi. Da allora sono trascorsi più di vent’anni, durante i quali un giovane aspirante cronista sedotto dal teatro e dalla parola, ha attraversato palcoscenici, graffiato pagine e danzato con macchine da presa per raccontare inquietudini e contraddittori di storie “troppo umane”, fatte di cocci, solitudini, grandi aspirazioni e tensioni vertiginose alla sconfitta, in un viaggio che lo ha più volte legato a una Salerno spesso ambigua, nolente nel rischiare, troppo gelosa e autoreferente per consegnarsi. Ma qualcosa sembra essere cambiato.

Dopo un’ostentata indifferenza per il teatro di Leo (De Berardinis), un’accoglienza tiepida e irriconoscente per la sua Scena segreta e la coabitazione rapida e sottovalutata di FormArt, Cappuccio riceve un’investitura preziosa: la direzione artistica del Napoli Teatro festival, dilaniato dalle pressioni delle lobby del territorio, da più di una ingombrante ingerenza del presidente della Regione e non ultimo dal conflitto Dragone-Grispello. La nomina, arrivata ieri dal cda della Fondazione Campania dei Festival, ha immediatamente incassato il placet di Sebastiano Maffettone, consulente del governatore Vincenzo De Luca che con Dragone era invece arrivato allo scontro (vedi il caso Al Pacino). «Naturalmente sono felice per questo incarico, ma la felicità – ha raccontato Cappuccio a Repubblica Napoli – confina con un grande senso di responsabilità: il Napoli Teatro Festival è organismo culturale complesso, con molti impegni e tanti doveri».

Tra questi, potrebbe esserci quello del confronto obbligato con l’ex sindaco di Salerno, città con la quale il drammaturgo ha più volte tentato di stabilire una liason a cui De Luca sembrò piuttosto indifferente. Stavolta, invece, i ruoli si ribaltano e «l’incontro di due destini», dopo il fallimento di una candidatura nel cda della Fondazione Ravello, sembra essersi consumato. «È una persona che stimo molto, non so però in quale clima si troverà a lavorare. De Luca ha voluto essere dominus, dimostrandosi ancora agli antipodi di una sana democrazia – taglia corto il regista Pasquale De Cristofaro – Come sarà il suo rapporto con Cappuccio? Impossibile prevederlo. Ai tempi della Scena segreta non fu idilliaco, che io ricordi». La scintilla mai scoccata ha radici ancora più antiche: «Cappuccio è un uomo di enorme talento – sottolinea Peppe Zinicola, nel direttivo del Teatro pubblico campano – Sono orgoglioso di aver contribuito a lanciarlo a Salerno, quando ero consulente agli spettacoli per il Comune, a partire dagli anni Novanta». Dall’esperienza laboratoriale del centro sociale di Pastena, con Claudio Di Palma e Nadia Baldi, Cappuccio si ritrovò coinvolto nella visione che fu Lo spazio della memoria, dedicato a Leo de Berardinis, «nato dalle lunghe chiacchierate con Ruggero e Franco Coda in quello che era il mio quartier generale, il Mumble Rumble». Per chi lo visse, quel progetto – erano gli anni ’94-’95 – trasformò il Verdi in uno spazio d’avanguardia, riaprendo la scia interrotta di Achille Mango e Filiberto Menna. Ma il pubblico, forse, non era pronto. Andava accompagnato con un coraggio che alle istituzioni mancò. Lo stesso accadde dopo, con l’esperienza di Asit, nel cuore del centro storico, che accolse firme di primissimo piano, da Roberto De Simone a Erri De Luca, in un clima di «delegittimazione, gelosie, carenze di supporto». Anche nel 2008, con l’esperienza di FormArt, il laboratorio di Santa Sofia per i giovani finanziato dal ministero del Lavoro, l’accoglienza istituzionale fu tiepidina. «Portammo all’Augusteo Margherita Hack e il candidato all’Oscar Vincenzo Cerami. Non venne nessuno delle istituzioni», ricorda ancora Zinicola.

«Le grandi crisi storiche celebrano sempre attraenti matrimoni con le città elette nell’olimpo della natura», disse sempre Cappuccio a proposito del suo “Delirio marginale”. E così, forse, è stato, dopo che quella fiamma, dall’algido centro cittadino dove pure il drammaturgo ha continuato a lasciare il segno, seppure occasionale, con la presenza dei suoi spettacoli nel cartellone del Massimo, è riuscita a bruciare nel più passionale Cilento, che ha dimostrato di aver voglia di scoprire le sorprese della rassegna da lui ideata, Segreti d’autore. «Un progetto interessantissimo – rimarca il professore Attilio Bonadies, che di Cappuccio è amico oltre che spettatore fedele in giro per i teatri d’Italia – Credo che la nomina sia il giusto riconoscimento per una professionalità che ha dimostrato competenza nella progettazione del contemporaneo, ma anche nell’organizzazione, come è successo per Benevento città spettacolo di cui è stato guida».