Racconti d'estate

Ritornare sui passi già dati rintracciandovi nuovi cammini

«Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono». Così José Saramago, nel suo Viaggio in Portogallo, modella con le parole gli incanti di un viaggio che si chiama vita per incitare il lettore a trasformare il proprio quotidiano in libro maestro di ricordi: di non attendere l’estate per schizzare in fretta e furia la vacanza desiderata, ma di pensare piuttosto al viaggio come a un progetto ampio, fatto di memorie, di narrazioni.
Per me che viaggiare vuol dire lavorare, spostarmi costantemente e conoscere spesso luoghi diversi, pensare alle vacanze estive è un po’ adagiarmi sull’alloro del dolce far nulla e escogitare una vacanza fatta di pochi spostamenti. L’estate, infatti, è un momento in cui vorrei chiudermi in casa, curare il giardino, godermi la frescura serale che offre Salerno (per quel che è possibile) e magari rileggere alcuni libri di sempre: spolverare Leopardi, inciampare in Shakespeare, ritrovare i sentieri che portano a Verne. Eppure anche quest’anno, nonostante gli ultimi e innumerevoli spostamenti lavorativi in Cina, in Venezuela, in Turchia, in Transilvania e in molte località italiane (Macerata in primis, dove ho la mia cattedra, all’Accademia di Belle Arti), ho pensato che far fagotto e disegnare un piccolo itinerario estivo sarebbe stata l’occasione per trascorrere un po’ di tempo in famiglia e far vedere al nuovo arrivato alcuni appuntamenti dell’arte, alcune città europee e alcuni paesi esotici i cui colori sembrano provenire da un’opera di Delacroix. Così, dopo l’ultimo rientro in Italia (quello da Cluj-Napoca, dove ho tenuto alcune lezioni di fenomenologia dell’immagine), ho pensato di volgere lo sguardo verso la Germania sud-occidentale e, dopo una piccola puntata su Frankfurt am Main, città fresca e suadente menzionata già da Carlo Magno in un documento risalente al 22 febbraio 794 («actum super fluvium Moin in loco nuncupante Franconofurd»), una splendida settimana a Kassel – in compagnia di moglie, figlio e sorella – è stata l’occasione per visitare Documenta14, uno degli appuntamenti dell’arte contemporanea più esclusivi al mondo, assieme alla nostra invidiatissima Biennale di Venezia. Peccato che di esclusivo e di interessante ci sia stato davvero poco: a parte qualche sparuta opera (quella fumosa di Daniel Knorr, quella sul Fridericianum di Banu Cennetoglu e quella all’aperto dell’iracheno Hiwa K) questa nuova Documenta curata da Adam Szymczyk è stato un vero buco nell’acqua e il popolo dell’arte che da ogni parte del mondo ha diretto lo sguardo su Kassel si è contentato di ammirare l’imponente paesaggio e di andare al nuovo museo dedicato ai Fratelli Grimm (il Grimmwelt Kassel) per abbandonarsi in piccoli brividi infantili.
Tornati in Italia, una tappa a Bari, una a Polignano a Mare – la cittadina legata a Domenico Modugno e a Pino Pascali (al Museo Pascali, lo scorso 4 agosto, è stata inaugurata una preziosa personale di Sarah Jérôme, visitabile fino al 31 settembre) – e un meraviglioso soggiorno a Rionero in Vulture, in Basilicata, sono stati piccoli momenti di gioia malgrado il caldo luciferino che tormenta, sotto la stella di lucifero, il Bel Paese.
In Turchia, da dove scrivo, e precisamente da Büyükada, l’isola maggiore dei Principi situata sul mar di Marmara, il vento accarezza le finestre quest’oggi e gli odori di spezie si irradiano nell’aria. Qui, a Büyükada, il paesaggio è mutevole e, accanto al lavoro preparatorio per settembre – a inizio settembre mi aspetta un nuovo volo per Granada, in Andalusia – rileggo con piacere i racconti e gli arabeschi di Edgar Alan Poe nell’edizione Arnaldo Mondadori del 1934 (con traduzioni Delfino Cinelli di Elio Vittorini), consapevole con Saramago che il viaggio più affascinante è quello che si consuma di minuto in minuto, di ora in ora, di giorno in giorno, senza arrendersi alla paura di rivedere i luoghi di sempre o di cadere nella routine quotidiana: «quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre».
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