Racconti d'estate

Quei canti di lotta nelle notti di Aquara

Il viaggio in cinquecento da Salerno ad Aquara, che seguiva la pubblicazione degli scrutini, era un viaggio… senza ritorno, nel senso che fino alla seconda metà del mese di settembre Salerno restava per me un luogo lontano. Le notti ad Aquara erano lunghe, discussioni interminabili sul come avrebbe potuto essere il paese, su quali possibili ed improbabili sviluppi avrebbe potuto conoscere la marginale agricoltura locale, rappresentava il terreno di confronto tra noi giovani liceali, operai para-sindacalizzati del nord, che facevano temporaneo ritorno al paese natio, e professori appena incardinati ancora ubriachi della sbornia postsessantottina. Ogni anno si ripeteva la stessa liturgia della parola e della speranza.
Il cenacolo “intellettuale” si esauriva in genere verso le undici di sera, e la notte si concludeva con il rito della Marcantella ovvero con la passeggiata fino alla fontana denominata, per l’appunto, Marcantella. Lungo il percorso si suonava la chitarra e si intonavano canzoni di lotta, con scarso gradimento dei residenti, e si preparava il rito magico del taglio dell’anguria, ma soprattutto uno sciame di maschietti ad alto tasso ormonale cercava disperatamente di accaparrarsi le grazie delle cinque o sei ragazze “cittadine”, che, apparendo più evolute nei costumi, sembravano a noi più facilmente abbordabili (una pia illusione!).
La mattinata, invece, era dedicata alla lettura dei quotidiani, comprati a turno, rigorosamente L’Unità o Paese Sera, dall’unico edicolante, il cui anziano titolare sembrava a noi giovani comunisti (chi non lo era, allora, fino ai vent’anni?) il più disponibile tra i conoscenti ad ascoltare il nostro anelito per “il sol dell’avvenir”. In genere, il pomeriggio era destinato alla partita al bigliardo, con le stecche strappate, nella calura estiva, agli “adulti” che frequentavano il “dopolavoro”: il mio amico Giovanni era bravissimo a strappare la disponibilità del tavolo verde e a sistemare con velocità supersonica le palle per il 48 o il filotto (una specie di prenotazione che non ammetteva repliche o rilievi di sorta). Verso sera, il rito della lettura dei classici, in genere Marx, Lenin o filosofi tedeschi, con una particolare propensione per le opere di Hegel, e il confronto con Lillino e Nicolino, con incursione del nostro amico “riformista” Federico, si accompagnava al gelatino al limone o seguiva il bagno nelle acque del fiume Calore (il nostro unico lido disponibile!). Il ritorno a Salerno, dopo la festa della Madonna del Carmine, rappresentava la fine di questo modo, sospeso a metà tra il desiderio e la speranza, nella vana convinzione che la prossima estate potesse offrire quell’agognata opportunità di suscitare l’interesse di una di quelle ragazze frequentate nelle precedenti vacanze.

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