L’ADDIO A cancogni

Quasi cento anni da scrittore tra l’allegria e la memoria

di PAOLO PETRONI «Era per vincere l'indifferenza e la noia che gli uomini avevano inventato la retorica delle passioni, delle complicazioni sentimentali, i problemi del male, della religione, della...

di PAOLO PETRONI

«Era per vincere l'indifferenza e la noia che gli uomini avevano inventato la retorica delle passioni, delle complicazioni sentimentali, i problemi del male, della religione, della politica» scriveva Manlio Cancogni, scomparso oggi a 99 anni, in «Azorin e Mirò» scritto negli anni '40. Un racconto sull'amore per la vita, le verità e i principi che si legano alla giovinezza e alle sue scoperte condivise con voglia di allegria e ricerca della felicità «nei rari istanti in cui il tessuto opaco delle cose si rompeva», eppure già segnato da una vena di nostalgia. Così, come a ribadire un percorso tra desideri e disillusioni, si intitolano «I perfidi inganni» e «Dolci spine» due romanzi esemplari, cui aggiungeremmo ’Allegra gioventù', con cui vinse lo Strega nel 1973, storia fantastica di un gruppo di anziani tornati ragazzi. Quelle di »Azorin e Mirò» sono pagine autobiografiche e si tratta di uno dei romanzi brevi considerati tra i più belli del dopoguerra, frutto di una stagione felice, che dette anche, per citare non a caso, Il taglio del bosco di Carlo Cassola. Non a caso, perché i due giovani nascosti sotto i nomi del titolo sono proprio lo stesso Cancogni e Cassola, e tema è appunto la loro amicizia, la loro educazione alla vita di artisti alla ricerca di se stessi: «documento di autocritica appassionata e spietata al tempo stesso», come lo ha definito Baldacci. Nato a Bologna il 6 luglio 1916 Cancogni, prima professore nei licei di Storia e filosofia, divenne poi un giornalista di qualità, autore di inchieste storiche come quella del 1956 pubblicata da 'L'Espresso’ col titolo ormai proverbiale «Capitale corrotta = Nazione infetta». Nel 1976 è stato l'ultimo direttore de «La Fiera Letteraria», poi dal '78 ha soggiornato a lungo in America, firmando corrispondenze e anche insegnando Letteratura italiana allo Smith College, nel Massachusetts. Militante del Pci durante il periodo della resistenza, approdò poi al Partito d'Azione. Fu collaboratore di giornali che vanno da Il Popolo al Mondo, per arrivare quindi a essere una firma del Corriere della Sera e poi de Il Giornale Nuovo con Montanelli, fedele a quella linea di libertà individuale che non voleva fosse definita né di destra né di sinistra, senza mai però lasciare la letteratura e smettere di curare la propria scrittura, limpida e intensa.