LA STORIA

Quando Salerno fu “chiusa” all’antifascista Amendola

Nel 1923 non poté prendere parte all’inaugurazione del monumento ai caduti Trent’anni dopo la città lo ricordò con l’installazione di una statua alla memoria

di ANIELLO RAGONE

Il 2 novembre 1923 il periodico “Il Mondo” riportava un articolo di protesta che recitava: «Questa singolare “guerra di religione” che da oltre un anno imperversa in Italia non vi offre una fede ma in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza – la vostra e non l'altrui – e vi preclude con una plumbea ipoteca l'avvenire». Sono queste le parole di Giovanni Amendola, fervido nemico del fascismo e figlio della terra di Sarno; parole forti che mettono in risalto l’antidemocrazia del governo fascista e il suo assoluto totalitarismo. Una lotta alla tirannia del Duce sempre sostenuta e mai trattenuta che ne faranno di lui un vero e proprio martire.

Due punti “particolari” (di cui uno è un peculiare episodio e l’altro un monumento alla memoria) legano il deputato Amendola al territorio salernitano. Nel 1923 Amendola docente di filosofia, decorato nella prima guerra mondiale e uomo politico – viene chiamato a Salerno dall’allora sindaco Capone per poter assistere allo scoprimento e inaugurazione del monumento dedicato ai caduti della prima guerra mondiale. L’importanza dell’episodio è accresciuto dalla presenza del Re d’Italia Vittorio Emanuele III. Il giorno 15 dicembre 1923, la città di Salerno è addobbata per accogliere il sovrano; Amendola viene trattenuto nel suo domicilio dalla forza pubblica, per ordine del Prefetto, al fine di evitare che i festeggiamenti fossero stati disturbati «da inopportune manifestazioni ».

Un atto antidemocratico che pone l’attenzione e conferma il forte e avverso pensiero dell’onorevole sarnese. L’impossibilità a partecipare a tale evento e la motivazione dell’impedimento viene fornita dallo stesso Amendola; il quale inviò al presidente del consiglio, Benito Mussolini, un telegramma (una lettera verrà inviata anche al sindaco di Salerno) che recitava: «On. Benito Mussolini Presidente del Consiglio, Roma -Recatomi Salerno dietro invito quel Sindaco per associarmi senatori deputati della provincia nel ricevere S. M. il Re, sono stato fermato mio domicilio d’ordine Prefetto e posto nella materiale impossibilità recarmi ricevimento Sovrano ed inaugurazione monumento Caduti. Inaudito arbitrio si tentò giustificare con manifestazioni ostili che fascisti avrebbero predisposto contro mia persona nonostante presenza Sovrano.

Fatto senza precedenti costituisce sopraffazione cui enormità è soltanto superata da assurdità giustificazione imprudentemente addotta. Risparmio inutile proteste e denuncio inqualificabile arbitrio opinione pubblica italiana nella cui giustizia pienamente confido». Le “lotte” alla sua persona saranno sempre più incalzanti tanto da sfociare in un’aggressione, guidata dal futuro segretario del partito fascista Carlo Scorza, il 20 luglio 1925. Morirà a Cannes il 7 aprile 1926.

Nel 1953 la città di Salerno decise di ricordare la sua figura con l’installazione di un monumento a lui dedicato. L’opera dello scultore Gaetano Chiaromonte, posta innanzi il palazzo di giustizia, era (e lo è ancora) costituita da un bronzo alto 3,15 metri rappresentante il “martire” posto su un piedistallo in pietra di Tivoli alto 4 metri. Lo scoprimento, allietato dal corpo musicale dell’orfanotrofio Umberto I il quale aprì la cerimonia con l’Inno di Mameli, si tenne il 18 ottobre 1953 alla presenza: della vedova e della famiglia di Amendola, il ministro per la Cassa del Mezzogiorno Pietro Campilli, il ministro Salvatore Scoca, vari parlamentari, il prefetto della Provincia Aria, il commissario prefettizio al comune di Salerno Salazar e svariate autorità cittadine e provinciali nonché militari. Il drappo tricolore, che copriva l’opera, venne fatto cadere da Marisa Chiaromonte (nipote dell’artista ed autore dell’opera).

Carlo Liberti, presidente del comitato esecutivo per le onoranze, lesse i vari telegrammi ricevuti tra i quali quelli del presidente della Repubblica; pronunciò l’orazione ufficiale il senatore Enrico Molè che volle esaltare la gloria dell’indimenticabile conterraneo.