l'intervista

«Quando Salerno era capitale della scena teatrale»

La figura di Bartolucci nel ricordo dell’intellettuale ed editore Francesco G. Forte

La figura di Giuseppe Bartolucci ha rappresentato, probabilmente, un caso unico in Italia. Critico teatrale, ma anche saggista, organizzatore di manifestazioni internazionali, agitatore culturale, punto di riferimento per giovani e collante carismatico di una cerchia di intellettuali a Salerno – tra cui Menna e Sanguineti – che concentrarono le loro forze nel capoluogo campano. A vent’anni dalla morte, I Colloqui di Salerno, promossi da Oedipus edizioni di Franco G. Forte e dalla cattedra di Antropologia culturale del corso di laurea in Filosofia, ricordano Bartolucci e la sua attività. Il “Madre. Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee” gli ha dedicato un intenso programma di lavoro. Il meeting si terrà oggi, dalle ore 17, al Comune di Salerno, dove a partire dalla figura del celebre critico, si rifletterà sulle motivazioni che furono alla base del grande risveglio salernitano alle arti, negli anni Sessanta e Settanta. In apertura, interventi di Carlo Infante, Gaia Bartolucci, Silvio Perrella. Si discuterà dell’esperienza apripista di Bartolucci nell’analisi del cambiamento epocale in atto in quei tempi e dell’Archivio a Fratte Rosa, nelle Marche pesaresi, dove Giuseppe Bartolucci nacque nel 1923: un punto di riferimento per studiosi e ricercatori sui temi dell’avanguardia e dell’innovazione culturale. Ma si parlerà anche del Bartolucci umanista, filologo, narratore, grazie a rari documenti di Francesco G. Forte e alle analisi testuali del saggista e scrittore Silvio Perrella.

Forte, chi è stato Bartolucci?

Ll’emblema della militanza critica. Provocatorio e generoso, sposava la causa dei giovani, degli sperimentatori, degli estremisti del teatro: era per questo denominato pontefice dell’avanguardia. Bartolucci aveva scoperto nelle cantine e nei piccoli locali, a partire dallo storico Beat 72, quelli che sarebbero diventati i protagonisti della scena teatrale futura. Leo e Perla, Giancarlo Nanni-Manuela Kustermann, Giuliano Vasilicò, Simone Carella, Pippo Di Marca, appartenenti a quella Scuola Romana proprio da lui così definita e intorno alla quale ruotavano Carmelo Bene e Carlo Quartucci. Tra le sue scoperte figurano poi anche la Gaia Scienza, i Magazzini allora Criminali, Falso Movimento.

I Colloqui cosa si ripropongono di fare?

L’idea è quella di ripercorrere i tratti salienti della presenza ultradecennale di Bartolucci a Salerno e dintorni. Certo, non bisognerà dimenticare che l’esplosione del quadriennio sperimentale che portò Salerno al centro dell’attenzione, fu resa possibile da una personalità come Filiberto Menna che si attivò perché le tante “eccellenze” che in quegli anni lavoravano nella nostra Università – Sanguineti, Crispolti, Mango, Trimarco – si adoperassero per divulgare, presso le nuove generazioni, bellezza e forza del vento nuovo che soffiava sull’arte.

La presenza di Bartolucci sul territorio salernitano come si è manifestata?

È stata marcata da tre episodi di portata diversa: l’organizzazione del mega-convegno “Teatro Spazio Ambiente” nel settembre del 1978 alla Certosa di Padula e la più privata attività “didattica” svolta nell’area settentrionale della provincia. Il convegno a Padula ebbe rilievo per l’aspetto artistico tout court da un lato e per una dimensione socio-urbanistica dall’altro. Nel primo caso si consolidarono, grazie a presenze euro-americane di altissimo profilo - Theodore Shank, Guy Scarpetta, Bonito Oliva, Moscati, Deak, George Banu - concetti fin allora sconosciuti ai più, come post-avanguardia o teatro della catastrofe.

Ha avuto anche rapporti con l’Agro?

Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. GB si trovò a frequentare con discreta assiduità Nocera, la Nofi di Rea. Sopravvenne anche l’occasione per alimentare la sua vocazione pedagogica, grazie ad alcuni seminari tenuti a studenti e docenti di scuole superiori. E ancora per il decennio successivo va segnalato il felice rapporto con la struttura di Mercato San Severino guidata da Franco Coda, nota come Teatro A.

Oggi esiste ancora uno sperimentalismo a Salerno?

Dal ’78 in poi non esiste una ricerca degna di questo nome. Diverse le cause. Innanzitutto l’assenza in città dell’Università, cosa che ha significato degrado da un punto di vista culturale e intellettuale. In quegli anni, i giovani prendevano il caffè con Filiberto Menna e Sanguineti. Adesso, con un Campus fuori mano, non c’è interscambio. Poi la politica, oggi tutta giocata sul clientelismo. Tutti i soldi per la cultura vengono stanziati per chi fa del dilettantismo. Infine, i violenti scontri tra pseudointellettuali che non giovano a nessuno.

Esiste un Bartolucci inedito?

Certo. Lo sguardo strategico e quell’operatività capace di stabilire un patto d’alleanza della scena con lo spettatore, non si spiegherebbero senza prestare attenzione alla produzione giovanile, dalla Resistenza sino alla fine degli anni Cinquanta. Della profondità delle sue note letterarie e politiche redatte appena ventenne, come della redazione del romanzo Lettera “d’amore” pochissimi furono al corrente.