L'EMERGENZA EPIDEMIA

Pupi Avati: «Ora scrivo la mia storia»

Il cineasta e produttore spiega la sua quarantena: deve prevalere l’umiltà

“Scena 1. Roma. Casa. Interno. Giorno. La macchina da presa inquadra un clarinetto poggiato nella sua custodia. Dà l’impressione di essere stato utilizzato dopo tanto tempo. Sulla scrivania, un computer e una pila di fogli scritti a mano. Tutt’intorno, il silenzio surreale di una Roma che sopravvive”.

Così inizia la mia storia in questa quarantena. Dominato da una sensazione di incredulità, come se ci fosse una sorta di sospensione temporale, una lunga pausa tra l’aver vissuto e il riprendere a vivere. È un tempo che mi è stato regalato, improvvisamente. Quelli che erano i tanti impegni che ingombravano la mia giornata sono evaporati, non premono più. Le stesse telefonate, i contatti in genere, si sono profondamente diradati, forse perché c’è poco da dire se non commiserarsi di questa situazione. Nel frattempo leggo, suono, scrivo, rifletto. Mi sto acculturando, arricchendo di una serie di cose che non avrei potuto fare nelle giornate normali, quando la socialità correva a pieno ritmo. Il 23 marzo doveva iniziare un mio film. Avevamo già le costruzioni avviate a Cinecittà e oggi, in piena primavera, bisogna invece pensare a momentanei sistemi di fruizione alternativi come le arene estive, le piattaforme digitali. In attesa che la sala cinematografica rinasca a nuova vita.

Finito il tempo dell’onnipotenza eterna, senza confini, della presunzione di poter dominare tutto e tutti, oggi il mondo si è dovuto fermare, frastornato da un senso del limite che negli ultimi decenni l’uomo occidentale aveva totalmente perduto. Abbiamo capito che l’essere umano, nel percorso che deve fare nell’ambito della conoscenza, ha ancora un’infinità di strada da percorrere. Gli uomini devono tornare ad essere umili, a “sapere di non sapere”. E in questo spazio sospeso in cui fluttuano vorticosamente i pensieri, ho davanti agli occhi l’immagine dolorosa di quel Papa, stanco, affaticato, zoppicante, che ha chiesto a Dio un aiuto, un’immagine iconica di questo pezzo di storia che ci vede protagonisti. Andrò in chiesa appena potrò. Mi manca, ne ho bisogno.

“Scena 2. Roma. Casa. Interno. Notte”. Sono le 3 di notte. La macchina da presa inquadra un uomo di spalle illuminato dalla luce della luna che entra dalla finestra. Davanti a lui, sulla scrivania, un computer acceso. Le mani battono freneticamente sui tasti. Sta scrivendo la sua storia. Scena 3. Roma. Casa. Interno. Giorno. Si ricomincia”.

*regista

(testo raccolto da Stefania Capobianco)