L'INTERVISTA

Pupi Avati: «Il mio Dante “umano” è un viaggio intenso tra dolore e bellezza»

Il cineasta a Capua per “Fuori Festival Salerno Letteratura”: presenta “L’alta fantasia

SALERNO - Pupi Avati sarà il protagonista del nuovo appuntamento “Fuori Festival” di Salerno Letteratura: stasera, alle ore 18, presso il Museo Campano di Capua, il regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e scrittore presenterà il suo ultimo titolo “L’alta fantasia - Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante” (Solferino); da studioso di Dante.

Maestro, con il suo volume consegna al lettore un Dante “umano”...
Nella sterminata bibliografia di Dante e tra i molti saggi filologici, a mio avviso, era carente l’aspetto umano. È interessante, partendo da quel pochissimo che si sa, approfondire quest’aspetto con l’aiuto di Boccaccio, autore di quel “Trattatello in laude dantis” all’indomani di un viaggio che fece a Ravenna dove conobbe la figlia di Dante. Tutte le informazioni si traggono dal “Trattatello” e il resto lo ricaviamo da Dante che nella sua autobiografia racconta il suo incontro con Beatrice fino alla sua morte, momento che coincide con il suo divenire poeta.

Tra l’altro lei ha approfondito il Dante ragazzo...
Dante è stato molto più ragazzo di quanto ci abbiano trasmesso gli accademici e gli insegnanti: un Dante severo, arcigno non solo nell’aspetto ma anche nella sua supponenza e nella consapevolezza della sua onniscienza. Ho cercato di “umanizzarlo” cercando di renderlo seducente per i tanti che si sentono inadeguati per affrontarne l’opera. Mi ero prefisso di scrivere un romanzo ma con una valenza didattica. A breve inoltre, uscirà il film, ispirato al romanzo.

Che Medioevo è quello che lei racconta?
Ho una lunga frequentazione cinematografica del Medioevo, per i miei film “Magnificat” e “I cavalieri che fecero l’impresa”, film per cui ricevetti il premio Jacques Le Goffes, uno dei riconoscimenti più significativi di medioevalistica.

Boccaccio ha una lingua filmica secondo lei?
Certamente, lo insegna Pasolini con il suo “Decameron”.

Lei collaborò molto con Pasolini, realizzò con lui “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Che ricordi ha dell’intellettuale bolognese?
Io conobbi il Pasolini più “autodistruttivo”, più “negativo” e più “funebre” di tutti i Pasolini che si conoscono, da quello degli anni Cinquanta a quello della “trilogia della vita”. Ho conosciuto il Pasolini più doloroso, quello con un desiderio di provocare in senso negativo e di indagare il baratro che vi è in ogni essere umano. Io violentai molto me stesso e i miei convincimenti per aderire alla proposta ma ero talmente lusingato per cui mi costrinsi a farlo.

Oggi, sarebbe possibile secondo lei realizzare film di satira estremamente intelligenti e acuti come i suoi “Bordella” o “La mazurka del Barone, della Santa e del fico fiorone”?
Sono film che non vorrei neppure rifare perché assomigliano all’epoca in cui sono stati fatti. Ci sono dei film , come “Magnificat” che si sono fortunatamente affrancati dalla loro “data di scadenza” e film che sono di un’epoca. Noi facemmo di tutti per essere autonomi e originali e quel prezzo il cinema spesso lo paga. Capita che film che si sono realizzati trent’anni fa che ti piacevano tantissimo rivedendoli oggi non si prova la stessa sensazione.

Stefano Pignataro