l'incontro

«Promuovere la democrazia con la musica»

I 99 Posse alla libreria Feltrinelli: il loro impegno civile coi comitati di base nel panorama politico italiano

SALERNO. «Abbiamo sempre cercato un altro tempo, altre parole e altri suoni, sono i tre elementi che hanno tirato fuori la nostre identità: è stato come se avessi ricevuto una mail dal profondo»: parla lo ’O Zulù ed è quasi irriconoscibile, al netto dei chili persi.

Solo lo sguardo, intenso e accesissimo, è lo stesso di sempre.

I 99 Posse scelgono la Feltrinelli, a Salerno, per presentare il nuovo album, “Il tempo. Le parole. Il suono”, pubblicato il 22 aprile e anticipato dalla clip di “Combat Reggae”; con Luca Persico, ci sono i compagni di una storia che dura da 25 anni: Marco Messina e Massimo Jovine, assente Sacha Ricci.

Con “Curre Curre Guagliò 2.0”, due anni fa, si è chiuso un cerchio. Questa è una nuova fase?

Luca Persico: «Parlare di fasi è difficile mentre le vivi, si tratta di capire quanto le cose che fai influiscono sul tuo sentire. Di certo, adesso, non guardiamo le cose solo col cervello ma anche con la pancia, tutto quello che ho scritto non l'ho premeditato e ora, leggendolo, lo sto capendo insieme agli altri. Quando la Posse mi ha mandato le prime tracce strumentali, sono entrato in un mood catatonico. Poi, è venuto fuori tutto all’improvviso, senza lavoro intellettuale. Da quando è nato mio figlio Raul, vivo la scrittura come processo di liberazione, viene fuori dalle viscere spesso indipendente dalla mia volontà espressiva».

Marco Messina: «Per la musica succede lo stesso: abbiamo sempre riempito l'hard disck di suoni, idee, riff, campioni, in modo da avere materiale a cui attingere in fase di lavorazione del disco. Stavolta è stato diverso, ci incontravamo e nascevano i pezzi. Questo, tra tutti, è il disco che ci soddisfa più di tutti sul piano tecnico. In “Cattivi Guagliuni”, due o tre pezzi, col senno di poi, non erano soddisfacenti, mentre adesso siamo riusciti a lavorare meglio. Dopo tanti anni, ci siamo “riquagliati” perfettamente come ai tempi di “Corto Circuito”».

Com'è nato “Nun è ’o vero”, il brano dedicato a Pino Daniele? Luca Persico: «Tutto è partito da una poesia di Amedeo Messina, il padre di Marco Messina, nonché studioso della lingua napoletana e fondatore di una sorta di accademia della crusca napoletana. Ci è piaciuto e l'abbiamo messa nel disco, il titolo evoca le prime parole che ognuno ha pronunciato nel momento in cui si è appresa la notizia. Nelle 48 ore successive alla morte, è sembrato che Pino sia sempre stato il fulcro dell'attenzione di tutti, mentre quando era in vita gli arrivavano feedback più negativi: a Napoli era chiacchierato soprattutto per il fatto di non viverci più. In “Medina”, ci fece fare un pezzo in cui ci passò il testimone di questo scettro che né lui né noi abbiamo mai voluto».

Siete stati sempre in prima linea in lotte sociali legate al Meridione. Cosa ne pensate del patto per la Campania?

Luca Persico: «Tutti questi patti calati dall'alto non ci piacciono. Noi siamo coi comitati di base che vivono il territorio e non lo monetizzano, il nostro ruolo è quello di promuovere la democrazia attraverso musica e poesia, di allargare le menti e i corpi delle persone renderli più accoglienti e in grado di ricevere e interag. ire con l'altro da sé. Le cose fatte ai piani alti impattano in maniera violenta le vite delle persone. Si tratta di decisioni e algoritmi che nascono nelle stanze dei governi e che poi si traducono nelle persone che muoiono per appendicite perché gli ospedali più vicini hanno chiuso. Questo disco è un’operazione di resistenza a tutto questo, ed è anche il nostro modo di sopravvivere al veleno che abbiamo dentro e che tiriamo fuori nelle canzoni. Se non lo sputi, il veleno ti ammazza».

Come siete sopravvissuti al mercato musicale senza perdere la vostra identità?

Luca Persico: «Ci siamo entrati, nel mercato, come collaboratori esterni, all'inizio. Poi ci siamo trovati invischiati, volevamo tirare fuori le contraddizioni, ma abbiamo perso e, alla fine di questi tentativi, ci siamo fermati. Non siamo riusciti a trasformare il mercato, potevamo farlo solo relativamente a noi. Ma ci avevano inseriti in una comoda nicchia con tanto di prezzo vicino. Ora abbiamo un rapporto quasi inesistente con la discografia, abbiamo trovato una label che ci sostiene e con cui abbiamo un ottimo rapporto. Del resto, ci stampano e distribuiscono soltanto, per cui sarebbe anche difficile riuscire a litigare. Siamo rompiscatole ma non fino a questo punto».

Infine, parliamo del suono.

Massimo Jovine: «La Posse ha sempre fatto un lavoro di ricerca della giusta forza per rappresentare parole importanti. Il reggae ci ha messi insieme».