Pietro Falivena, il pittore che manda in giro i colori

L’artista salernitano che compie oggi ottant’anni racconta la sua carriera «Invio cartoline per posta agli amici ogni volta che al mattino mi ricordo di loro»

di PAOLO ROMANO

È nato a Salerno ottant’anni fa e oggi festeggia un compleanno importante l’artista . Pietro Falivena, che con il fratello giornalista Aldo, rappresenta la memoria storica degli anni più vitali della cultura a Salerno.

“Amico di pittori” – come si definisce e pittore egli stesso – ha conosciuto intellettuali e artisti che hanno frequentato gli studi, le gallerie e le librerie della città.

Cominciamo dai suoi anni dell’infanzia. Quali furono i primi input culturali nel primo Dopoguerra, dopo lo Sbarco?

«Gli Alleati importarono la musica d’Oltreoceano, portarono il jazz, Glenn Miller, i balli. Prima ascoltavamo solo la musica del regime fascista».

Tra i luoghi di Salerno più amati c’è la stazione. Perché?

«Per me piazza Ferrovia è stata per buona parte della vita una seconda casa. Mio padre, Camillo, classe 1898, era capotreno a Salerno e faceva la spola tra la nostra città, Roma e la Calabria. Partiva alle 5.50 del mattino. Indelebile rimane l’emozione della prima volta che ho potuto mettere piede sul treno, non in un vagone qualsiasi ma direttamente nella locomotrice. Era una littorina, un treno di lusso, di prima classe, l’equivalente di un nostro Freccia Rossa. Ebbi la possibilità di sedere accanto a uno dei due macchinisti ed è stato bellissimo vedere la strada correre davanti a me, senza null’altro davanti che un vetro e le rotaie».

La prima scatola di colori avuta in regalo?

«Erano degli acquerelli che mi furono regalati dalla moglie di Aldo. Il primo quadro era un albero che si vedeva dalla finestra di casa mia».

Ma ha cominciato da ragazzo?

«Sì, in classe facevo i disegni per procura per i miei compagni. Ero in una classe di ricchi e svogliati. Loro non sapevano disegnare e io facevo i lavori per loro in cambio di una sfogliatella».

Lei ha conosciuto tanti artisti ed è custode di aneddoti per ognuno.

«Certo. Vorrei ricordare Mario Boffa, di cui recuperai un quadro nella spazzatura e Tanuccio Siano, morto cieco in una soffitta di Vietri sul Mare».

I punti di riferimento culturali a Salerno quali sono stati nella seconda metà del Novecento?

«La Casa del Combattente, poi la galleria L’Incontro, la libreria Macchiaroli e la Galleria Il Catalogo che continua ancora oggi».

Quali sono stati i suoi maestri?

«Panzini a Positano, Manfredi Nicoletti a Cetara e a Giffoni il grande Vincenzo Stavolone».

A proposito di Manfredi Nicoletti, con l’ultimo esponente della corrente dei Costaioli c’è stata una vera e propria amicizia?

«Non dimenticherò mai le lunghe giornate trascorse insieme e i suggerimenti tecnici che, il maestro di Cetara dispensava a me, allora giovanissimo. Ma soprattutto i ricordi visivi, le sensazioni che si respiravano nel suo studio. Come faccio a raccontarli?».

È vero che ama dipingere su ogni tipo di carta?

«Penso che dipingere, colorare, disegnare, siano espressioni insopprimibili. Come lo scrittore che scrive ovunque, mi piacciono le carte da imballaggio, le carte del pane, quelle per la frittura, gli avanzi di tipografia, le carte di giornale, tutto».

Com’è nato il concetto delle “Carte perse”?

«Avevo delle carte da acquerello, venne a piovere e si bagnarono tutte. Erano perse, ormai da buttare. Bisognava salvarle e lavorarci presto con gli acquerelli, prima che fosse tardi, per questo perse e recuperate».

Tra i suoi cicli importanti c’è quello delle “Carte volanti”. Come sono nate?

«Sono carte così leggere che si possono appendere. Ho provato a lavorare con l’olio su un supporto di estrema leggerezza, solitamente i colori a olio vengono invece utilizzati sulla tela e su legno o su altri supporti rigidi. Dopo averle realizzate le ho appese a un filo con le mollette per i panni, aspettando che si asciugassero. Il mio bucato di colori».

Lei ha l’abitudine di far viaggiare anche per posta le sue opere.

«Si riferisce alle mie cartoline dipinte. Ne avrò fatte più di tremila, non tutte sono state spedite ma mi piace inviarle per posta agli amici in occasioni particolari a Natale, a Pasqua, per un compleanno, o semplicemente perché quella mattina mi sono ricordato di lui. Fu Manfredi Nicoletti a darmi l’idea, riferendosi agli anni della miseria, quando i pittori per sopravvivere dipingevano piccole cose in cambio di un pasto, di un panino».

Per i suoi 80 anni cosa le piacerebbe fare?

«Per ora solo una festa con gli amici e la famiglia. Poi magari, più in là, vorrei esporre le mie carte colorate, circa 50 pezzi inediti, pastelli a olio fatti su carta tipografica. Sono i miei colori per il futuro».

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