CARTA GIALLA

Piante officinali salernitane

Nelle pianure di Paestum e Velia l’agronomo Frauenfelder riuscì a trovarne circa 100

Nei territori storici campani, dai Campi Flegrei al Cilento, dalle pendici del Somma-Vesuvio alle pianure pestana e velina - fino a un recente passato - una risorsa, un valore aggiunto alle colture agricole era costituito dalla raccolta delle numerose specie di piante medicinali, che vi crescevano spontaneamente. Non abbondano oggi gli studi sulle attività di raccolta, commercio e uso terapeutico di quelle essenze naturali da parte delle popolazioni campane, attività esercitata dai tempi delle scuole di medicina di Velia e Salerno, dalla prestigiosa tradizione medica napoletana dei secoli XVIII e XIX fino ai primi decenni del Novecento quando, la farmacologia moderna e l’industria del settore hanno rivolto sempre di più l’attenzione solo sui principi attivi dei prodotti di origine vegetale, ma amplificando invece la produzione chimica dei prodotti di sintesi.

Conseguenza questa dell’aumentato volume di consumo dei farmaci e del miglioramento progressivo dell’assistenza sanitaria, almeno nei paesi industrializzati. Ci sarebbe da aggiungere qualche commento anche sui tanti farmaci dannosi e su quelli inutili prodotti dalle multinazionali del farmaco, ma questo è un altro discorso, che esula dalle nostre competenze e che ci porterebbe lontano dal nostro più modesto obiettivo di rievocare libri e autori del passato, antico e recente. Sul tema della farmacopea del passato e su quella popolare, in un bello e importante scritto inedito di Piero Cantalupo, “Tradizioni mediche nei territori di Velia, Paestum e Salerno”, pubblicato in “Annali Storici di Principato Citra” (II, 1, 2004, pp. 10-65), numero monografico dedicato dalla rivista allo scomparso storico agropolese, leggiamo tra le altre cose il riferimento a un testo poco noto del recente passato, che crediamo andrebbe oggi ripubblicato: «Notevole e quasi sconosciuta opera del 1953 di C. Frauenfelder sulle piante officinali della provincia di Salerno. In un centinaio di dense pagine, l’autore, quasi a sintetizzare ricerche mediche secolari, elenca e descrive le erbe medicinali di cui è ricca la provincia, precisando per ognuna le caratteristiche botaniche, le parti utili della pianta, il tempo di raccolta, l’essiccamento, i principi attivi e le proprietà medicinali. In appendice all’opera ritorna sulle loro proprietà curative ed indica il modo di somministrazione».

Il titolo del libro del dottor Frauenfelder, agronomo dell’ispettorato provinciale dell’Agricoltura di Avellino, che abbiamo cercato e trovato, è “Le piante officinali della Provincia di Salerno - Con appendice sulle proprietà curative delle erbe” , (senza luogo e data, ma Napoli, 1953). Il volume si apre con una prefazione del professor Giuseppe Catalano, direttore della Sezione Sperimentale dell’Orto Botanico dell’Università di Napoli, il quale a proposito delle numerose piante spontanee della nostra provincia scrive: «Non di rado tra di esse si celano delle interessanti novità terapeutiche e virtù curative degne di essere meglio conosciute e studiate ufficialmente». Ed è vero, quello che dice il prof. Catalano, quando scopriamo a pag. 41 che la tanto esecrata, malfamata, infestante e vituperata mala pianta della gramigna (Agripirum Repens), “a ramegna” «ha grande importanza nella terapia e nella medicina popolare per l’uso dei suoi infusi come rinfrescanti e nelle infiammazioni gastriche e delle vie urinarie». A proposito di questa stessa pianta e delle sue proprietà curative a pag. 93 Frauenfelder aggiunge, citando il testo di Giuseppe Antonelli “Le piante che ridanno la salute ossia le piante alimentari e alcune selvatiche comuni italiane nella medicina domestica” (Roma, 1950), che il sugo dei rizomi della gramigna è utilissimo nelle cure depurative del sangue nella dose di 100 grammi al giorno. Sono ben 97 le piante officinali della provincia di Salerno, censite e descritte in schede dettagliate e in molti casi accompagnate da disegni al tratto. Per ogni scheda viene riportata inizialmente la voce dialettale, la descrizione, l’area di maggiore diffusione, le parti della pianta impiegate, il tempo botanico per la raccolta, l’essiccamento, i principi attivi e le proprietà medicinali e infine il dato ponderale sulla commercializzazione ovvero la potenzialità economica della pianta.

A titolo di esempio dello zelo espositivo del Frauenfelder riportiamo solo parzialmente il testo della scheda dedicata al crescione (Nasturtium officinale R.B.): «Voci dialettali “sanarciuolo” - “Percialietto” - “Agrioli”. Erbacea di notevoli proprietà terapeutiche, di uso popolare allo stato verde come alimento - Frequentissima in tutti i corsi d’acqua a lento scolo, soprattutto nelle zone fiancheggianti gli alvei del Sele, del Calore e del Tanagro-Crucifera perenne, acquatica di 30,60 centimetri. Di altezza, con fusto vuoto ramificato, terminante con infiorescenze a grappolo di colore bianco…Parti impiegate = parte aerea-Tempo botanico = primavera, estate - Essiccazione = al sole - Principi attivi = sostanze amare, olio essenziale solfo-azotato( 0,1-0,2 %), un alcaloide speciale (nasturzina),iodio e fosforo- Proprietà terapeutiche = diuretiche, antiscorbutiche, depurative, stimolanti, toniche, ricostituenti, pettorali».

La scheda si conclude con la constatazione che il nasturzio non viene raccolto né commercializzato, come del resto la gramigna e buona parte delle piante spontanee. Sino all’Ottocento larga parte della popolazione rurale nasceva, viveva e moriva senza mai ricorrere allintervento della medicina ufficiale. La diagnosi e le pratiche terapeutiche erano praticate dagli anziani, depositari delle pratiche della medicina popolare, della conoscenza delle risorse curative del mondo vegetale e animale, unite a una forte componente religiosa. Noi non crediamo che decotti e infusi possano mai sostituire gli antibiotici, né crediamo che si possa ottenere l’aspirina pestando nel mortaio la corteccia di salice, ma crediamo che la tanto invocata e mai attuata green economy passi anche dalla riduzione (con uno “sforzo operoso”)dei farmaci di sintesi. Piero Cantalupo nello scritto citato diceva: «Cosa è cambiato? Certamente non le erbe, che ancora vegetano un po’ dovunque nel salernitano… Servono allora studi di fattibilità, ricerche di mercato, capitali, incentivi, laboratori, certificazioni, informazioni: certamente non alla portata del singolo, ma sicuramente alla portata di un ente pubblico che si propone lo sviluppo del territorio, come il Parco nazionale del Cilento. Una volta, c’erano le Paestanae valles, meraviglia d’Italia. Se vogliamo, potremmo farle rifiorire, riprendendoci ciò che è nostro, ed anche dell’umanità, senza cercare modelli di sviluppo venuti da altrove». Non siamo propensi al “sovranismo regionale”, ma la green economy al Sud passa soprattutto dalla terra nostra generosa e dalla drastica riduzione del cieco, forsennato consumo di suolo, e questo sì che è cosa esiziale... altro che la gramigna.