L'INTERVISTA

Padre Boschi: «Vi racconto Lucio Dalla insospettabile voce di Dio»

Il domenicano bolognese: «C’è spiccata spiritualità in ogni canzone»

Un giorno, io e Lucio Dalla, camminavamo insieme nella Basilica di San Domenico, qui a Bologna, e lui mi disse: “Sai Bernardo che senza far nulla, dopo la composizione della canzone “Caruso” mi stanno piovendo addosso un sacco di soldi”. Io gli risposi: “Senti Lucio, non è un problema perché i soldi li puoi dare chi non li ha, e sai quanti sono fuori di qui...”. Uscimmo dalla Basilica e trovammo una vecchina che mi disse: “Padre, è da tanto tempo che vorrei andare a Lourdes ma non ho soldi sufficienti”. Lucio raccolse lo scherzo della Provvidenza, con l’innata ironia, si precipitò verso questa signora e le consegnò un assegno. Penso che le diede il doppio di quanto le serviva... Lucio era così, un’insospettabile voce di Dio, un clown della fede che incarnava la gioia del cristiano, misericordioso e accogliente». Padre Bernardo Boschi, per oltre cinquant’anni, è stato il confessore di Lucio Dalla. Vive a Bologna, al convento di San Domenico. Decide di parlare della religiosità del cantautore, morto sette anni fa, all’improvviso, in Svizzera. Fu proprio padre Boschi, per 14 minuti e 47 secondi, a pronunciare l’omelia nel giorno dei funerali, il 4 marzo e, a braccio, disse tra l’altro: «Certo, Lucio ci ha lasciato in un modo impensato, inedito, e questo è Lucio. Un tonfo... quasi crudele, vero Marco?... Ci ha lasciati tutti più soli, più tristi». E quel “vero Marco”, rivolto al giovane Alemanno, demolì in un attimo la cappa del non-detto sull’omosessualità di Dalla.

Ripeterebbe ancora quelle parole?
Lucio era una persona di grande fede che non aveva mai voluto conclamare la propria omosessualità. Le polemiche del giorno dopo furono una vendetta del mondo gay che voleva fare del cantante una bandiera. La Chiesa condanna il peccato, non il peccatore quando questi fa un certo cammino. Ma fu roba da teorici dell’ipocrisia che, spesso, imperversano e non sanno niente della Chiesa.

Aveva preparato quell’omelia?
Per nulla. Era il 4 marzo, giorno del compleanno di Lucio ed iniziai dicendo: buon compleanno Lucio. E la piazza esplose in un applauso che durò a lungo. Poi, improvvisai con le parole del cuore e della liturgia del giorno. Più la riascolto e più ripenso alla forza che mi diede Dio a pronunciare quelle parole...

Quando conobbe Lucio Dalla?
Nel 1968, appena rientrato da un viaggio in Terrasanta per una missione archeologica, correlata ai miei studi biblici. Venni a Bologna e fui fermato da Dalla che mi chiese se era vero che io conoscessi l’aramaico. Io gli risposi sì e replicò subito: «Lo insegni anche a me?». Cominciò tutto così, un lungo viaggio di spiritualità.

Confessore per cinquant’anni e passa.
Le ripeto, più padre spirituale. Si l’ho confessato diverse volte. Un giorno gli dissi: «Guarda Lucio che io e te siamo troppo amici, cambia confessore». E gli indicai un confratello domenicano che è stato un personaggio carismatico nella Bologna e nell’Italia del Novecento. Si chiamava padre Michele Casali.

E andò da lui?
Sì, si confessò ma poi tornò da me. Mi comunicò che io l’avevo mandato da un prete, ripeto testualmente le sue parole, che era «troppo mondano per i suoi gusti» anche se tifoso del Bologna come lui. Cioè, volle comunicarmi che lui era sempre alla ricerca di qualcuno e qualcosa che lo ponesse in discussione con la ricerca dell’amore con Dio e il prossimo. In pratica, per riandare alle sue canzoni, a quell’amore disperato, amore mai nato, amore messo in croce, amore che resiste e se Dio esiste voi vi ritrovetere là come cantò in un duetto con Mina.

In che circostanza disse: «La fede cristiana è il mio unico punto fermo, è l’unica certezza che ho».
Nel 1997, alla vigilia di un concerto, c’era anche Bob Dylan in Vaticano davanti a Giovanni Paolo II. E aggiunse: «Credo in Dio perché è il mio Dio».

Quale era il “suo” Dio?
Quello degli uomini in Croce in ogni tempo, i barboni di Piazza Grande, quei milioni e milioni di angeli che per lui erano i poveri, i più soli o quelli presi nelle reti della sofferenza sapendo che se tra gli uomini fosse nato ancora Dio, lui gli avrebbe ubbidito, amandolo a modo suo.

Dove amava pregare?
In questa cappellina dell’Addolorata, nella chiesa di San Domenico. Entrava da solo e restava in silenzio, in ginocchio o seduto, adorando quel volto dell’Addolorata che mi diceva somigliasse alla mamma Jole.

È stato mai fidanzato Dalla?
Sì, per due volte. Lui era follemente innamorato di una giovane infermiera e ne era ricambiato. La mamma voleva che la sposasse perché sosteneva che era la donna giusta per quel figlio. Ed io che lo incitavo. Ma lui, di rimando, mi rimproverava affettuosamente di ordire un complotto insieme alla mamma.

Cosa scriverebbe a Lucio Dalla?
Le detto qualcosa. Scriva.

Cominciamo?
Caro Lucio, abbiamo un appuntamento da rispettare. Quello che prendemmo prima che tu andassi a Sanremo e poi in Svizzera. Eravamo all’angolo di via d’Azeglio, a pochi passi dalla tua casa. Mi dicesti, vediamoci, ci tengo molto. Non ci vedemmo più. Intanto, ti assicuro che anche i preti ad una certa età non si sono sposati come invece, cantasti con la canzone L’anno che verrà composta nel chiostro del nostro convento. Ed io ti dissi, sorridendoti: guarda che non sarà così. E tu mi replicasti: non avrei mai scritto una frase per offendere la nostra fede. Sorridesti come solo tu sapevi fare. A proposito, da quando sei partito c’è una grossa novità. Mi manchi. Via, tolga la penna da un foglio che non ci basterebbe...