PASSEGGIATE NELLA STORIA

Ortega a Bosco, tra arte e rivoluzione

Il pittore spagnolo soggiornò spesso nel borgo cilentano per immergersi nella realtà contadina

Un grumo di tetti rossi abbarbicati a un’altura su cui domina la mole austera dell’antica chiesa di San Nicola. Alle spalle la ciclopica mole del monte Bulgheria, cassaforte di storie e di memorie. Poi ulivi, vigneti, querce, lecci, castagni e aromatiche “mortelle”. Il panorama è stupendo: laggiù le scintillanti marine del Golfo di Policastro e una serie di colline che degradano dolci, ferite, di tanto in tanto, da valloni aspri come il senso della vita di questi luoghi e della loro gente. Sui volti è la fierezza della civiltà contadina, la compostezza di silenzi atavici che evocano pagine di storia scritta col sangue. Una storia le cui tracce si ritrovano, all’entrata del paese, in un’opera ricca di “pathos” che il pittore spagnolo José Garcia Ortega, stregato da questo raccolto angolo di mondo, ha realizzato su mattonelle di ceramica per commemorare i soprusi patiti dalla popolazione locale a seguito dei sanguinosi Moti del Cilento del 1828, quando Bosco fu incendiata e distrutta dai borbonici dello spietato maresciallo Del Carretto.

Ospite frequente, tra gli anni Settanta e Novanta, Ortega si innamorò di questo raccolto paese dell’anima tanto simile al paesaggio e all’ambiente della sua Castiglia e qui acquistò e ristrutturò una vecchia casa dove, nel corso della sua errabonda vita d’artista, amava soggiornare per lunghi periodi per lavorare e immergersi in quel mondo contadino che tanto amava e che gli ricordava gli anni della sua fanciullezza. Nato nel 1921 ad Arroba de los Montes, paesino rurale della Mancha (Castiglia del Sud), la terra mesta e fantasiosa dell’epopea immortale di Don Chisciotte, Josè Garcia Ortega ad appena quindici anni è già un pittore contestatario, solidale con gli operai e i rivoluzionari. Dipinge per le strade di Madrid e la passione per la Spagna invade tutta la sua opera: ne ritrae la gente, i riti, la violenza, la pietà, la dannazione del lavoro, la consolazione del canto, la serenità delle notti e la confidenza della morte.

Un poema ininterrotto con la sua patria, quello di Ortega, in cui si esaltano figure e paesaggi che sono i temi essenziali del suo universo: i “segadores” (i mietitori) e i contadini, le isole vulcaniche e i pescatori, gli asinelli e i riti dei campi, gli ulivi e le spigolatrici, le ginestre e le stelle, tutti ritratti di un racconto scandito dalle accensioni e dal tripudio delle forme e dei colori. Per la sua intensa attività antifranchista, nel 1947 viene condannato a dieci anni di carcere, di cui sconterà la metà. Liberato nel 1952, per sfuggire a un’altra condanna, è costretto a rimanere clandestino per alcuni anni, esule a Parigi, dove dà inizio alla sua carriera internazionale. Nel 1962, in casa di Picasso, incontra il critico d’arte Antonello Trombadori, che gli organizza, nel 1964, la sua prima mostra personale italiana a Roma. Tra il 1965 e il 1970 espone a Torino, a Parigi, a Zurigo, a Bruxelles, a Madrid, in Germania (Colonia, Norimberga, Essen, Amburgo, Minden, Krefeld) e a Milano. Ortega è considerato uno dei più interessanti pittori della generazione di transizione tra i grandi spagnoli quali Pablo Picasso, di cui fu allievo e amico, Mirò, Salvador Dalì e i giovani delle avanguardie. Nel 1972 approda a Bosco, frazione del Comune di San Giovanni a Piro, e ne rimane affascinato. Vi compra casa e vi trascorre lunghi periodi, immerso nel paesaggio cilentano, a contatto con la natura, a dialogare con i contadini e ritrovarvi la sua terra natia.

Stringe amicizia, tra gli altri, con Nicola Cobucci, medico pediatra e boschese doc, custode geloso della sua memoria, promotore di numerose e interessanti iniziative sull’opera di Ortega e autore di un pregevole libro, pubblicato nel 2017, sulla vita, l’arte e la figura del “pintor” castigliano. Nel 1976 Ortega ritorna in Spagna dopo 16 anni di esilio, ma è autorizzato a restarvi solo pochi mesi. Tiene la prima mostra a Madrid, poi espone a Bilbao e a Valencia una delle sue opere più significative: “Morte e nascita degli innocenti”. Continua ancora a girare per l’Europa con numerose mostre che lo vedono impegnato, dal 1980 in poi, a Colonia, a Basilea e ancora a Madrid. Muore, esule e straniero, a Parigi, la vigilia di Natale del 1990. Oggi nella casa di José Ortega, si possono ammirare alcune delle opere più belle e significative dell’artista, una mappa della memoria storica che conserva, dipinte sulle pareti, date e tappe tra le più importanti della sua vita, dalla sua infanzia difficile alla dura fatica dei contadini, dalle sofferenze della prigionia al suo matrimonio, alla nascita del figlio alla costituzione spagnola. Nella casa-museo di Ortega non mancano tracce di una profonda visione religiosa del mondo, cosa che sorprende e meraviglia, atteso il riconosciuto credo marxista del pittore.

All’ingresso del salone, infatti, alla base della scala che conduce ai piani superiori, una copia in miniatura della Pietà, simbolo e testimonianza dell’umana sofferenza, richiama ai valori dello spirito e alla caducità delle cose, invitando al raccoglimento e alla riflessione. A Bosco è sorto, a cura del Comune di San Giovanni a Piro, il Polo Museale - egregiamente diretto dall’avvocato e scrittore Franco Maldonato - che oltre a ospitare importanti opere di Ortega, svolge una intensa attività culturale con l’organizzazione di mostre d’arte, convegni, dibattiti e presentazione di opere letterarie. A Bosco si tengono anche due edizioni annuali del “Premio Ortega”, a cura, rispettivamente, del Comune di San Giovanni a Piro e del Rotary Club “Sapri - Golfo di Policastro”.