Dj Fabo con la fidanzata Valeria Imbrogno

RIFLESSIONI

Occorre liberare il "fine vita" dalle esasperazioni ideologiche

La contrastata legge in discussione al Parlamento sul cosiddetto “biotestamento” riflette le contrapposizioni ideologiche e culturali tra le forze politiche

Indubitabilmente la contrastata legge in discussione al Parlamento sul cosiddetto “biotestamento” riflette le contrapposizioni ideologiche e culturali tra le forze politiche, nell’opinione pubblica e nella società civile. Un profluvio di dichiarazioni, documenti, prese di posizione, pro e contro stanno accompagnando l’iter di approvazione del ddl e sembrano pregiudicare la ricerca una mediazione alta, “laicamente” spendibile socialmente, culturalmente e politicamente.
Innanzitutto sarebbe opportuno rifuggire dalle assolutizzazioni: il “mai” e il “sempre” sono parole, che non fanno parte tra l’altro del linguaggio del medico, perché egli sa che l’arte medica comporta l’adeguamento delle conoscenze scientifiche al vissuto dell’uomo, nel momento della sua massima fragilità determinata dalla malattia e soprattutto nell’imminenza della morte.
L’indisponibilità della vita umana è certamente un principio inderogabile ed ha un valore assoluto mentre da alcuni viene ritenuta degna di essere vissuta solo la vita che ha determinate caratteristiche e risponde a precise funzioni o proprietà e quindi se ne può disporre autonomamente, in virtù di un principio di autodeterminazione incondizionato. Da altri invece tale principio viene inteso come “un dovere di vivere ad ogni costo” (per i cristiani tra l’altro la vita non è “un bene assoluto”, ma relativo alla vita eterna e alla salvezza, e può essere sacrificata per più alti ideali), finanche nell’approssimarsi della morte contro ogni evidenza scientifica e umana, negando persino che possano sussistere forme di accanimento terapeutico.
Da una parte cioè si può pervenire ad una estremizzazione della difesa della vita-corpo, sicché più che la vita ad essere sacra, è il corpo che diviene un sorta di totem da salvaguardare ad ogni costo, magari con la l’aiuto della biotecnologia (di cui si può paventare in certi casi di divenirne ostaggio); dall’altra viene assolutizzato un soggettivismo e un individualismo nelle scelte delle decisioni del fine vita, sottratte ad ogni riferimento oggettivo, scientifico e medico (per non dire etico).
Per la vexata quaestio dell’idratazione e dell’alimentazione artificiali, bisogna chiedersi: è sempre un trattamento sanitario? Non ci sono casi dove esse rientrano tra le “cure” ordinarie dovute alla persona? Si possono sempre e comunque sospendere? E senza giustificazione alcuna, senza alcuna valutazione dei benefici attesi rispetto ai risultati, della sua utilità o invasività e onerosità? Non sono mai obbligatorie, anche se è evidente che la sua sospensione porta inevitabilmente alla morte, soprattutto nel paziente in stato vegetativo o nel grave disabile?
Riteniamo, come è plausibile, che anche nel più tenace oltranzista possono nascere dei dubbi.
Così è anche per il principio della libertà della persona e la sua autonomia. È certo che trattasi di valori irrefutabili e irriducibili, riflettono la ontologica identità individuale che va sempre rispettata, ma quando diventa irrelata ad ogni confronto empatico con altre figure (familiari, amici, ecc.) e addirittura contrapposta nel fine vita a quella del medico, è autocentrica e autoreferenziale.
È vero: senza il consenso del paziente, il medico non è legittimato ad agire. Ma si ammetterà almeno che la rinuncia a terapie salvavita solleverà nella coscienza del medico gravi interrogativi, in tutta la loro drammaticità e problematicità. Ecco che sembra importante per una legge sul fine vita stabilire i confini entro i quali muoversi: promozione della vita e della salute; divieto di ogni forma e pratica eutanasica attiva e passiva (comunque mascherata); affermazione di una rinnovata alleanza medico-paziente; rifiuto di ogni accanimento terapeutico e parimenti di abbandono di cura dell’ammalato; incremento delle cure palliative.
La contrapposizione politica oltre che ideologica e culturale sui temi del vivere e del morire, dovrebbe far posto invece ad approfondimenti scevri da pregiudizi e precomprensioni, perché vi sono due libertà a confronto, vi sono due autonomie da rispettare, ma vi sono soprattutto due coscienze che interagiscono: quella del medico e quella del paziente, che solo in un vincolo di alleanza possono determinare la risoluzione delle difficili problematiche che si presentano nel corso della malattia e al termine della vita.
* Vice Presidente Nazionale per il Sud Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI)
Vice Presidente Nazionale Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici (SIBCE)
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