Nel ricordo di Giannino Fatigati

Vallo della Lucania, Augusto Lenza ha dedicato un catalogo di opere al “Ligabue” del Cilento

di ANTONIO CORBISIERO

Giannino Fatigati era un pittore visionario, il più importante artista impressionista cilentano del Novecento, con una vita tribolata che somiglia molto a quella di Ligabue e di Van Gogh. Dipinse per oltre cinquanta anni, anche quando fu internato in manicomi. Nacque nel 1919 nella modesta casa dello storico quartiere San Pantaleo di Vallo della Lucania. Ora lì c’è l’atelier del pittore e musicista Augusto Lenza, suo caro amico che nel 2008, sostenuto dal Comune, gli ha dedicato uno splendido catalogo che contiene tutte le sue opere, molte delle quali sono visibili nello studio d’arte di Lenza, pittore da cui traspare un amore infinito per quell’artista innocente e visionario che fu Fatigati. La sua casa era composta da due stanzette: in una dorimiva nell’altra, adibita a cucina e bagno dipingeva circondato da moltissimi quadri e da una macchina da cucire. Giannino Fatigati fu anche un bravo sarto; aveva vinto un concorso inglese di cucito e per un po’ di tempo si trasferì in Inghilterra. Lenza racconta della povertà di Fatigati. dei suoi consumati pennelli, delle raspe e tavolozze. Si procurava da mangiare vendendo qualche quadro ad amici e conoscenti.

Entrava in chiesa proclamandosi un angelo, aveva visioni notturne che trasferiva febbrilmente sulla tela il giorno dopo. Giannino Fatigati incontrò anche Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Rimase in convento alcuni mesi, fece un’esperienza di aspirante frate. Lo scossero molto le stimmate di Padre Pio, le croste di sangue e nel 1958 pensò addirittura di essere una sua vittima. Dipinse le ferite che Padre Pio portava sul corpo e quasi lo ossessionarono. Dipinse mani lacerate, torturate in una sorta di immedesimazione in Cristo. Cominciò così una discesa nell’inferno. Sperimentò come Dino Campana la reclusione negli ospedali psichiatrici, veri e propri lager, gli psicofarmaci, la crudeltà degli operatori sanitari. Venne legato per giorni a letto. Picchiato, malnutrito e sofferente, come tanti anziani soli e abbandonati, Giannino Fatigati visse con dignità la sua povertà e con gli amici si diceva certo che la sua grande arte gli sarebbe sopravvissuta. Fatigati morì in ospedale in un torrido pomeriggio d’agosto del 1997. Vi fu un funerale per pochi intimi. In un quotidiano locale del 1954 si legge che pochi concittadini prendevano sul serio Giannino perché povero e profondamente pervaso di misticismo. La città di Salerno gli riservò in quegli anni un posto preminente presso la sede del Comitato Patronesse degli artisti. Il suo nome appariva tra quelli di Beraglia, Avallone, Nicoletti, D’Alma, Russo. La pittura di Fatigati è la rappresentazione dei suoi mondi. Al maestro bastavano pochi tocchi per fissare l’immagine e catturarne la luce. I colori li creava, li cercava in natura e li plasmava su tele ruvide, su cartone, su fogli di compensato. Sono suggestive le nature morte, i paesaggi raccontano le storie di antichi abitati, i volti sono espressivi ma si fanno anche tristi con sguardi interrogativi. A partire dagli ann. i Settanta le immagini si fanno sempre più sfocate e si sciolgono nella nebbia della sua mente. Inizia un lento distacco da una luce vivida che aveva permeato i quadri dell’artista; il colore si avvolge nella dissolvenza. I dipinti e i disegni del Fatigati si trovano principalmente presso collezionisti e acquirenti vallesi. La sequenza che si vede nel catalogo curato da Dante e Augusto Lenza dimostra come dagli anni Cinquanta agli anni Novanta il maestro appropriandosi delle tecniche impressioniste dissolva i dipinti dilatando i contorni delle figure.

Il colore viene dato direttamente sulla tela con pennellate brevi e incisive. Un ruolo importante ebbe in Fatigati il simbolismo e qualcosa che ha a che fare con l’alchemia o l’esoterismo. Era un conoscitore e cultore nonché collezionista di pittura e arte sacra. Con la sua pittura Fatigati ci offre un suo personale libro dei sogni, ricco di simboli che hanno inciso profondamente la sua vita. Scrisse anche poesie e fliastrocche. Una di queste racchiude tutta la sua innocenza di uomo umile e vero che visse tra il buio e la luce e la sua arte, come aveva previsto, rimane oltre la vita. Il tiolo è “Il Grillo salvato”. Sulla strada, livida e scottante/A centro sta un grillo saltellante/ eppur non si muove da quello stato/ha pensato di portarlo a lato/per liberar da una brutta sorte/preda della ruota della morte.

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