LEGALITÀ 

Nel giardino incantato all’improvviso un’onda

È ormai sancito ufficialmente, anzi in una sede istituzionale come la Commissione parlamentare sulle banche: sia noto a tutti che alle domande che a qualunque cittadino possano essere rivolte da una Procura della Repubblica si potrà rispondere anche soltanto annuendo con un cenno del capo, lasciandosi così la libertà e la discrezionalità di chiarire solo in seguito se il movimento della testa fosse dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto, e da sinistra verso destra o viceversa, attribuendo differenti significati alla propria risposta a seconda della comodità intervenuta.
Tanto più sicura ed autorevole è la sanzione di questa nuova possibilità che essa è stata legittimata dal procuratore generale della Repubblica in Arezzo, Roberto Rossi, che si è premurato anche di sancirlo per iscritto in una «interpretazione autentica» fornita all’on. Pierferdinando Casini, presidente della Commissione parlamentare di cui sopra, il quale, alla ricerca di un collegio sicuro, ha dovuto far finta di restare serio di fronte a una tale prova di dispregio delle istituzioni.
Mentre si fa sempre più caldo – e persino aspro – il dibattito sul principio di legalità come criterio cardine per la vita di una società che voglia essere ispirata da valori di eguaglianza e di trasparenza, e mentre infuria il confronto sull’eccessivo spazio di discrezionalità che può essere assunto da chi ha il compito - affidatogli dalla comunità in seguito a pubblico concorso e dietro adeguato compenso - di interpretare con fedeltà ed equità la legge che regola la comune convivenza, il procuratore della Repubblica di Arezzo, Roberto Rossi è sospettato e accusato di aver mentito alla Commissione parlamentare d’inchiesta sui disastri bancari.
Il procuratore Rossi aveva già dovuto rispondere dinanzi al Csm, un anno prima, dell’imbarazzante posizione in cui si era venuto a trovare per aver accettato un incarico remunerato dal Governo e non aver contemporaneamente compreso quanto fosse anomala la mancata rinuncia ad indagare proprio su sospetti, come la famiglia Boschi, ammanigliata in quel Governo erogatore di incarichi (come ministro c’era la Maria Elena) e nello stesso tempo nella inchiesta che Rossi conduceva (era indagato il papà Pier Luigi). Per questa ragione Rossi dovette nel 2016 rispondere di Csm di questa grave posizione di interesse in atti d’ufficio, godendo di un complice escamotage - che sarebbe stato impensabile in un contesto giudiziario ordinario - che lo mandava assolto (con uno scarto minimo di voti, 11 contro 9).
Dinanzi alla Commissione parlamentare – specificamente interrogato sulla difficile posizione del vicepresidente Boschi di Banca Etrutria e della di lui figlia Maria Elena Boschi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sul disastro della Banca - ne escludeva la responsabilità, tacendo consapevolmente sulla riapertura delle indagini e solo annuendo a una domanda generica sulle indagini stesse. Rossi ha però fatto di più: ha sollevato una cortina fumogena contro la mancata vigilanza di Banca d’Italia per consentire a Renzi e all’altro Matteo, Orfini (il chierichetto che mette il suggello a tutte le coperture degli intrecci di potere) di dichiarare che finalmente era dimostrato che nell’attacco parlamentare contro Banca d’Italia (meglio attaccare le guardie invece che i ladri) il PD aveva avuto ragione, e che era stata fatta giustizia delle insinuazioni sulla sottosegretaria Boschi e sulla sua famiglia. Ne è stato smentito clamorosamente ma non ha fatto una piega, al punto che lo stesso PD che sta facendo di tutto per non audire in Commissione Ghizzoni, il manager che secondo Ferruccio de Bortoli (denunciato con sospetto ritardo dalla Boschi) aveva ricevuto pressioni dal ministro Maria Elena Boschi affinché salvasse la Banca paterna.
La reticenza – che si svela in realtà omissione fa parte di un procuratore della Repubblica – nel dichiarare l’esistenza di un procedimento contro papà Boschi non solo contravviene al dovere primo di un magistrato - cui la Repubblica assegna una potestà ampissima, che può diventare arbitraria se non esercitata con linearità d’intenti – di servire il diritto e la Repubblica, ma evoca zone oscure nelle quali emerge l’intreccio di potere, cioè la combutta tra potere politico e magistratura cui si affidano incarichi ben remunerati (come quello ottenuto da Rossi e materia di indagine del Csm), in cambio di reticenze e silenzi (e quindi insabbiamenti, o quantomeno coperture anche in sede di procedimenti giudiziari): ma è sempre valido il principio di legalità, che comporta che sempre «la legge sia eguale per tutti»?
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