la TRADIZIONE

Napoletano, una lingua da insegnare

Corso a Cava de’ Tirreni. Il promotore: «In pochi la sanno scrivere»

Che cos’è il napoletano? Una vera e propria lingua, vanto della nostra cultura ma esclusa dal programma didattico.

Davide Brandi, fondatore dell’associazione culturale “Lazzari e Briganti – la banda del Principe”, non ha dubbi e si batte da tempo per difendere le tradizioni del Regno delle due Sicilie, che avevano nelle diverse declinazioni del napoletano lo specchio della propria storia e della propria cultura. Il suo orgoglio partenopeo lo spinge ad effettuare corsi di napoletano come quello che è stato organizzato nella sala Forum dei giovani all’interno della villa comunale a Cava de’ Tirreni.

La prima lezione si è tenuta ieri dalle 10 alle 12, ma gli incontri proseguiranno fino al prossimo 8 aprile e si terranno ogni sabato.

Al termine del corso sarà rilasciato l’attestato “Lazzara/o Doc”. Ma qual è la ragione che ha spinto Brandi (il cui cognome ricorda una famosa pizzeria, simbolo della napoletanità) ad impartire lezioni di napoletano? «Il mio impegno nasce dall’esigenza dei tempi – spiega – Prima il napoletano scritto era solo appannaggio di poeti o di drammaturghi del teatro in lingua napoletana e, quindi, pochi lo scrivevano. Adesso, invece, tutti si cimentano, soprattutto sui social, con evidenti difficoltà ortografiche. Da qui la decisione di dare lezioni, soprattutto ai giovani».

L’insegnamento del napoletano non è, dunque, un tentativo “tout court” di difendere la tradizione.

«Noi siamo per la difesa della tradizione, che però non si fermi al passato – aggiunge Brandi – Facciamo parte del ventre di Napoli, della Napoli dei decumani: noi la storia la calpestiamo. Siamo proiettati verso il futuro e non dimentichiamo mai che il napoletano è la seconda lingua più parlata in Italia, oltre che la più conosciuta a livello mondiale grazie alla canzone napoletana; in molte scuole di canto si studia il napoletano in funzione dell’esecuzione delle melodie napoletane classiche».

Come ogni lingua il napoletano è soggetta ad un’evoluzione e ad un ammodernamento. Ma questo non scoraggia Brandi che, pur essendo consapevole di insegnare una lingua parlata ma non scritta, non manca di trovare il suo punto di riferimento negli studi di Carlo Iandolo, senza comunque «escludere altre linee che aiutano a costruire un quadro generale, anche del contesto storico in cui si muove l’evoluzione della lingua». Il napoletano, dunque, lo salvi chi vuole e può e poi lo trasferisca ai propri figli.

Alfonsina Caputano

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