IL LUOGO SACRO

Montevergine, la visita reale

Nel 1829 Galanti pubblicò un opuscolo in cui raccontò di Francesco I al Santuario

di ALESSIO DE DOMINICIS

Luigi Maria Galanti (1765-1836), molisano di Santa Croce (oggi S. Croce del Sannio, in provincia di Benevento) come il ben più noto fratello Giuseppe, è stato anch’egli un geografo di primo livello, benché il suo nome, oscurato dalla fama del fratello, sia noto solo a geografi e cultori della disciplina. Si vorrebbe trattarne qui qualcuno tra i suoi numerosi scritti, improntati tutti alla ricerca di soluzioni per i problemi del Mezzogiorno borbonico secondo di nascita della “questione meridionale”, un’impostazione condivisa col fratello Giuseppe. Ma ci riserviamo di parlarne altra volta, specie di alcune opere educative dove meglio si vede la modernità della sua concezione storica e politica nel trattare della geografia umana. Vogliamo riportare invece i contenuti di una sua rara placchetta, od opuscolo che dir si voglia, stampata a Napoli nel 1829 e spesso nemmeno citata nelle già rare bibliografie sull’autore.

“Ragguaglio sul Reale Santuario di Montevergine” è il semplice titolo in copertina, ma esteso nel frontespizio diventa il “Ragguaglio della visita fatta da s.m. Francesco I e da tutta la real famiglia al Santuario di Montevergine nel 1826 con un cenno storico sul Santuario medesimo” (Napoli, Marotta e Vanspandoch, 1829). La scelta di trattare di quel luogo sacro non fu certo né casuale né occasionale avendo egli vestito l’abito benedettino proprio a Montevergine nel 1777 ( fu novizio nel 1780), abito che vestì fino alla soppressione della congregazione verginiana nel 1807. Dopo quella data egli non tornerà nella congregazione dopo la sua ricostituzione nel 1815 ad opera di Ferdinando IV, dedicandosi completamente all’insegnamento, all’attività editoriale, e persino, per una breve stagione, all’impegno politico, quando fu eletto, deputato del collegio molisano, nel rivoluzionario parlamento napoletano del 1820. Nel 1828 si presenta per lui l’occasione di tornare a Montevergine, quando l’abate Raimondo Morales gli chiede di dettare le epigrafi celebrative della visita che il re Francesco I, con il seguito della famiglia e della corte, fece al santuario il 30 agosto 1826. La sua nota capacità di letterato oltre che di geografo contribuì certamente a determinare la scelta dell’abate Morales, ma il motivo principale - ne siamo certi - di rivolgersi al Galanti per quelle iscrizioni da trasporre poi nel marmo, fu la trentennale frequentazione di Montevergine da parte del geografo- ex benedettino, già nominato abate titolare da Pio VII nel 1805. Galanti, orgoglioso dell’incarico ricevuto, si mise all’opera e compose le epigrafi, ovviamente in latino, che celebrano la visita al Santuario e le due notti trascorse nel Palazzo abbaziale di Mercogliano da Francesco I, con grande concorso di popolo; i testi sono anche però, implicitamente, l’omaggio poetico e nostalgico al “suo” monastero. Dopo aver seguito l’esecuzione dell’incisione nei marmi da parte di lapicidi artisti di sua fiducia, operanti presso il Real Museo Borbonico, ne curò personalmente anche il trasporto e il loro posizionamento: uno presso il Santuario e l’altro nell’atrio d’ingresso del palazzo abbaziale di Loreto, a Mercogliano.

Avendo ormai avviato un legame di reciproca fiducia con l’abate Morales, viene da entrambi concordata la pubblicazione di un opuscolo che, con l’occasione della visita di Francesco, ripercorresse a ritroso nel tempo i rapporti tra i monarchi napoletani e il Santuario. Nella ricerca dei documenti Galanti si giovò dell’archivio storico del monastero, a lui ben noto fin dal tempo della mansione di bibliotecario, assunta nel 1789. La succinta esposizione storica delle vicende del Santuario e dei privilegi reali acquisiti, prende avvio dalla fondazione del monastero benedettino da parte di San Guglielmo da Vercelli nel 1119 e poi della chiesa «in onore della Madre di Dio, la quale fu consacrata con immenso concorso di fedeli nel giorno della Pentecoste» (pag. 5 ). Non poteva mancare - e non manca nel libretto - un riferimento all’immagine venerata nel Santuario, quello della “Mamma Schiavona”, il dipinto su tavola che una tradizione religiosa assegnava alla mano di San Luca, ma che oggi sappiamo essere opera del XIII-XIV secolo giunta a Montevergine, non ad opera di Caterina di Valois nel 1310, come scrive Galanti ripetendo una tradizione storiografica, però certamente di committenza angioina per la presenza dei gigli intorno all’immagine della Vergine, conforme l’opinione del benedettino padre Tropeano, storico contemporaneo del Santuario. La parte finale del testo è dedicata alla cronaca dei giorni 29, 30 e 31 agosto 1826, col viaggio dalla Casina reale di Quisisana, sulle alture di Castellammare, sino al Palazzo abbaziale di Mercogliano, la sera del giorno 29, lì accolti il re e il suo seguito, dall’abate e dal priore, i fratelli Raimondo e Prospero Morales. Il giorno dopo il re «colla Augusta famiglia ascesero sul sacro Monte, traversando Mercogliano, dov’era stato eretto un arco trionfale », dopo la messa il real corteo visita il Santuario, ammira le tante reliquie e il piccolo museo. Il re si degna «di accettare un ristoro di cibi quaresimali, i soli permessi in quel sacro luogo» (pag. 17 ).

La rigida dieta vegetariana dettata da San Guglielmo per i suoi monaci e rimasta in vigore fino al 1960, valeva solo a Montevergine, Santuario e monastero, così la vera tavola, quella ricca, imbandita per il pranzo, attendeva quel 30 agosto il monarca e il vasto corteo nel palazzo di Mercogliano, intorno a mezzogiorno. Dopo un pomeriggio trascorso tra Avellino e Atripalda, «ritornarono la sera nel Palazzo di Loreto, vagamente illuminato, in mezzo a una folla di popolo esultante». La mattina successiva, 31 agosto, è la volta del ritorno a Napoli, e «gelosi i virginiani di tramandare ai posteri la memoria di tale avvenimento, risolsero di ergere due marmi, a Loreto e a Montevergine, perché mai ne perisse la rimembranza ». L’edizione del “Ragguaglio” fu certamente limitata a poche centinaia di copie, da inviare in omaggio a personaggi della corte napoletana e della Curia romana: la tiratura limitata ne giustifica la scarsa conoscenza alle bibliografie di Luigi Galanti. L’esemplare da noi consultato si presenta con una veste editoriale curata, pure se legato in brossura, con la tipica cornice di fregi neoclassici e stampato su carta forte