IL RICORDO

Monsignor Grimaldi, il pastore che guidò Salerno nel “futuro”

Trent’anni fa un malore lo stroncò al termine di una messa

 

SALERNO - Maestro e pastore. Sono i due sostantivi che meglio spiegano la figura di mons. Guerino Grimaldi, Arcivescovo della Diocesi di Salerno - Campagna - Acerno dal 1984 fino al 12 aprile di trent’anni fa quando, al termine della messa della Domenica delle Palme un malore lo stroncò all’età di 75 anni. Sono trascorsi trent’anni ma nella memoria dei salernitani il suo spessore culturale, pastorale, umano e il suo inopinabile carisma sono ancora vive. «Mons. Grimaldi è stata una figura centrale ed estremamente significativa per la Chiesa e per la comunità civile. - ricorda il magistrato Pasquale Andria, all’epoca presidente diocesano di Azione Cattolica - Tanti della mia generazione, “la generazione del Concilio” hanno avuto in lui un riferimento forte e sicuro e gli anni del suo episcopato hanno segnato in profondità la vita della comunità credente e quella della società civile. Mons. Grimaldi riteneva che i cristiani dovessero esercitare la “carità dell’intelligenza” e su tale intuizione ha improntato la propria azione pastorale».

Anche Aniello Salzano, all’epoca sindaco di Salerno, ricorda la figura di mons. Grimaldi: «Fu motivo di grande orgoglio festeggiare la sua nomina. - ricorda - “Don Guerino”, come lo chiamavano i miei genitori, imparai a conoscerlo bene e di lui me ne parlavano entusiasti i tanti amici impegnati come me in politica, e soprattutto nella Democrazia Cristiana, nella quale ho militato sin da giovanissimo. Sotto la sua guida, la sua parrocchia era diventata un punto di riferimento di attività sociali e del pensiero cattolico ma anche una vera e propria fucina di politici. Lì - rivela - infatti si erano formati moltissimi giovani, i quali poi avevano riversato nell’impegno politico la formazione di cultura cristiana. Porto il ricordo indelebile del suo sguardo: quando fissava negli occhi qualcuno era capace di penetrare nella profondità del suo animo, della sua intelligenza viva e fervida, della cultura profonda che emergeva nei suoi numerosi scritti e nelle omelie».

Un Arcivescovo che ha insegnato ad amare la Diocesi e che voleva che i sacerdoti di relazionassero tra di loro per il bene dei fedeli: «L’arcivescovo era una garanzia - sottolinea don Sabato Naddeo - perché elevava lo spessore in tutti gli interventi. Avevamo un Pastore ricercato per le sue doti umani, sacerdotali e intellettuali. Quando parlava in cattedrale usava il tono solenne e quando passava nelle parrocchie mediava la sua cultura perché tutti potessero capire. Accompagnandolo in macchina una volta gli chiesi: “Eccellenza, perché richiamate sempre i preti, le suore e i laici?”. Lui mi rispose: “Prufessò, ancora non hai capito che, se vi dico, bravi e va bene, vi adagiate e si ferma tutto? Bisogna fare sempre meglio, bisogna mettere anima, impegno, passione in tutto ciò che si fa e bisogna farlo sempre meglio”». Poi don Sabato conclude: «Un Pastore, che sentivamo padre e maestro del nostro essere preti. Noi ordinati da lui, ringraziamo il Signore per averlo messo sulla nostra strada».

Stefano Pignataro