L'INTERVISTA

Massimiliano Gallo: «Viaggio negli anni Ottanta tra riflessioni e icone pop»

L’attore stasera inaugura con il suo spettacolo il “Sea Sun” e il “Premio Charlot”

 

SALERNO - Sarà l’attore Massimiliano Gallo ad aprire, con lo spettacolo “Stasera punto e a capo” presso l’Arena del Mare la 21esima edizione del Sea Sun Festa del Mare e la 35esima edizione del Premio Charlot.

Lei è reduce dal successo della serie Tv Rai “Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso”, tratto dai bestsellers di Diego De Silva. Quale elemento della scrittura di De Silva, da attore, ha trovato cinematografico?
La scrittura di De Silva è una colta e ironica. Un’ironia mai banale e mai volgare. La sua scrittura è trasversale perché prende un pubblico eterogeneo, popolare. Vi è stato una grande fetta di laureati che di solito non guarda la Rai che hanno visto la fiction. Il suo personaggio è bello ma cinematograficamente molto complicato da raccontare; il suo spaziare con la fantasia del personaggio, con le sue proiezioni mentali rappresentarlo nella scrittura è possibile nel cinema è complicato. Angelini, il regista ha fatto un ottimo lavoro, il prodotto è piaciuto tantissimo. In un’epoca in cui vige l’ossessione di sentirsi perfetti, l’imperfezione di Malinconico con le sue fragilità, rende più possibile la vita. Malinconico, inoltre, ha dei sani principi. Un bel messaggio per un’Italia sgangherata. Inoltre, è un personaggio che è molto più vicino alla realtà effettiva dell’avvocato normale che “il Principe del Foro”.
 

Lei si misura con la commedia e il teatro classico napoletano con riletture raffinate e di successo. Con quale metodo si affronta, oggi, un grande classico?
Con rispetto dell’autore e con lo studio, tanto studio. Eduardo, ad esempio, è l’autore italiano più rappresentato al mondo. Se si dice che non può essere rappresentato senza di lui non gli rende un grande merito. Occorre rileggerlo rispettando la volontà dell’autore leggendo bene il testo. È quello che abbiamo cercato di fare con “Filumena”, che è stato un notevole successo anche tra i ragazzi e, secondo me, realizzare nuove edizioni di classici aiuta la giovane generazione ad avvicinarsi ai classici.

Napoli è sempre raccontata, rappresentata, analizzata culturalmente e mediaticamente. Come è mutato il suo racconto?
Napoli è una delle poche città a reagire a un imbarbarimento culturale attraverso l’arte sfornando talenti in tutte le arti. Crea casi (si veda “Mare Fuori”). Si racconta in maniera diversa, magari con meno sguardo critico purtroppo con meno voglia di mettersi a nudo, però paradossalmente racconta i suoi estremi, da “Gomorra” a “I Bastardi di Pizzofalcone” e lo racconta con il suo stile. Una città che reagisce con l’arte. Una città che mantiene dei riti pagani, con la sua umanità, la sua tradizione e la sua contaminazione che in un mondo globalizzato non e' cosa scontata.

La cosiddetta identità partenopea...
Napoli ha un’identità così radicata che riesce a contaminare chi la contamina. Ad esempio la musica di Pino Daniele era una musica contaminata da tutti i suoni che venivano dal mondo, in particolare dall’America, però paradossalmente, un pezzo di Pino Daniele è più napoletano del mondo ma allo stesso tempo contaminato. Lui si è fatto contaminare ma è riuscito a contaminare e a invadere rendendola napoletana. Se penso poi che a Piazza Garibaldi vedo il negozio di kebab che propone il prodotto con lo sfilatino vedo qualcosa che ha invaso il pianeta ma che non è mai cambiato e lo ha fatto solo a Napoli, facemdosi contaminare.

Cosa vedremo al Premio Charlot?
Un viaggio con il pubblico, una festa. Racconto la mia adolescenza, gli anni Ottanta che, insieme ai Sessanta, sono stati iconici. Si ride, ma si riflette anche. Uno spettacolo anche per i giovani per farli pensare su quanto sia cambiato il modo di aggregazione giovanile. E poi parlerà dell’icona pop di quegli anni, la radio. Quindi passo alla caduta del Muro di Berlino, punto di non ritorno e la fine dei nostri sogni cantando “Povera Patria” di Battiato.