la visita dello scrittore nell’84

Luigi Compagnone e i liceali di Sarno «Grandi ragazzini»

DI DAVIDE SPERANZA Quando Luigi Compagnone diede vita, insieme a Pasquale Prunas, a “Sud-Rivista Culturale”, sapeva di aver intrapreso l’ennesimo percorso dentro le viscere della sua Napoli, città...

DI DAVIDE SPERANZA

Quando Luigi Compagnone diede vita, insieme a Pasquale Prunas, a “Sud-Rivista Culturale”, sapeva di aver intrapreso l’ennesimo percorso dentro le viscere della sua Napoli, città odiata/amata, alla quale, lo scrittore, poeta, giornalista e saggista fu sempre legato.

Annoverato tra i grandi intellettuali, insieme a Raffaele La Capria, al napoletano/nocerino Domenico Rea, a Francesco Rosi e Anna Maria Ortese, Luigi Compagnone resta nell’immaginario letterario come l’osservatore ironico e “chirurgico” di un Sud legato ai propri difetti.

«Questa è la mia città senza grazia. Qui gli uomini vivono dannati in una feroce tristezza… Qui le donne crollano a braccia aperte, temono la luna e il sangue che fa appassire i fiori dodici volte all’anno» scriveva Compagnone sulla rivista “Sud-Rivista Culturale”, consapevole che si sarebbe attirato le critiche degli intellettuali in esilio volontario, come la stessa Ortese, con la quale esplose una “guerra in parole” sfociata nel famoso capitolo ne “Il mare non bagna Napoli” intitolato “Storia del funzionario Luigi”.

Trasversale nel mondo del giornalismo – passando dalla rivista Sud con La Capria a “Il Borghese” di Longanesi, da Paese Sera a Radio Napoli e alla Rai – quanto nella carriera letteraria, Luigi Compagnone nella sua carriera ha prodotto liriche, racconti surreali, romanzi dalla spiccata connotazione joyciana quale “L’amara scienza”, in cui la storia di tre giovani nella Napoli anni ‘60 diventa ulteriore occasione di sarcasmo e disillusione sull’umanità della “Napolimagalopoli”, fino ai versi barocchi de “La ballata di Pinocchio” e alle analisi antropologiche taglienti di “Mater Camorra”.

A cent’anni dalla sua nascita avvenuta a Napoli il primo settembre 1915 (è morto nel 1998), lo ricorda l’intellettuale e docente Francesco G. Forte, che negli anni ‘80 insegnava al classico di Sarno e fu promotore, insieme ad Andrea Pinto, Antonio Caiazza e Franco D’Avino, di una serie di incontri con autori partenopei.

«Nel post terremoto – ricorda Forte nel giorno del centenario della nascita di Compagnone – la società civile di Sarno si distinse per i suoi tentativi di aprirsi al mondo, con un’azione di pedagogia complessiva, che dalle aule delle scuole si diramava fino al tessuto cittadino. Gli incontri con gli scrittori, come Luigi Compagnone o Carlo Bernari, si accompagnavano al grande lavorìo quotidiano del gruppo di “Proposte ambientali” nato sulla necessità sentita di ripulire il fiume Sarno dall’inquinamento industriale, con l’appoggio di personalità come Piero Angela».

Il 28 gennaio del 1984 Luigi Compagnone incontrò gli studenti dello storico Liceo Classico di Sarno, i quali lo interrogarono a partire da “La giovinezza reale e l’irreale maturità”, una raccolta poetica con al centro il rapporto tra l'autore e la sua città, per la quale «la peggiore invasione è stata quella interna, di coloro che immaginando in mala fede di avere ereditato la città da una vecchia zia, ne hanno fatto una riserva di caccia».

«Lo scrittore napoletano uscì impressionato – ricorda ancora oggi Francesco G. Forte – tanto da sottolineare in una breve nota redatta a ridosso di quella giornata (“I grandi ragazzini di Sarno”) l'emozione provata, “nel senso che da quei ragazzi e da quelle ragazze, credo di aver imparato molte cose”».

Compagnone rimase talmente entusiasta di quell’incontro che, partendo dell’esperienza nella scuola di Sarno, scrisse una feroce critica agli intellettuali dell'epoca, colpevoli di superficialità nei confronti delle nuove generazioni.

«Lo straordinario – scrisse l'autore napoletano – è che, in questi ragazzi, tra i quindici e i diciotto anni, niente era orecchiato, niente gratuito… Dio santo, sento sempre tanti cialtroni sparlare dei giovani. Io li prego di andare a parlare con i giovani del liceo “Tito Lucrezio Caro” di Sarno e forse si accorgeranno che loro è l'ignoranza. Mentre li ascoltavo, pensavo ad una grande e infelice scrittrice italiana, Elsa Morante e al suo “Il mondo salvato dai ragazzini”, ed è proprio così, il mondo sarà salvato da centinaia di migliaia di ragazzi».

Durante la lunga conversazione, contenuta integralmente ne “Lo stato delle cose”, rivista pubblicata da Oèdipus di prossima uscita, Luigi Compagnone discusse del suo rapporto con Napoli alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, l'animismo napoletano, il dialetto, la morte. Non mancò un attacco provocatorio all'intoccabile Salvatore Di Giacomo, colpevole di non essere stato un autore vicino al popolo.

«Quando il generale Bava Beccaris ordinò alle truppe di sparare sugli operai milanesi che si battevano per le loro conquiste, per la loro dignità, per i loro salari – tuonò Compagnone – Di Giacomo sull'Illustrazione Italiana scrisse una lettera di elogio a Bava Beccaris».

. ©RIPRODUZIONE RISERVATA