Le tasse nel 1753 erano eque Si pagava in base ai mestieri

Documenti inediti in un libro di don Benedetto D’Arminio sul catasto onciario Recuperate informazioni sulle famiglie, le tradizioni e la produzione agricola

“Alessandro Gentile, “scarparo”, di anni 40, coniugato con tre figli possiede una terra con castagne al luogo detto la Valla, stabilita una rendita annua di ducati 10, once 33. Più un oliveto al luogo detto Ripa del Corvo di un tomolo”. E’ una miniera di informazioni storiche e non solo economiche il catasto onciario di Montecorvino. Il codice tributario del Settecento viene ora pubblicato per la prima volta grazie a monsignor Benedetto D’Arminio, rettore del santuario del Carmine di Salerno e attento studioso del territorio. Nel suo “Breve saggio sul catasto onciario della Università di Montecorvino del 1753”, pubblicato per le Edizioni Società e Cultura, D’Arminio ha preso in esame i cartigli originali custoditi presso l’Archivio di Stato di Salerno e gli archivi di Montecorvino. «Non si tratta solo di un documento di natura finanziaria – spiega D’Arminio – anzi, al contrario: da esso è possibile desumere tutta una serie di informazioni sulle famiglie, sulle tradizioni, sui terreni, sulla produzione agricola e persino sui luoghi e le località, con toponimi che spesso sono scomparsi in parte o del tutto dalla piante del territorio».

Per esempio, in merito a Pascale Della Corte, bottegaio di 27 anni, nei fogli catastale di trecento anni fa si dice che “abita in casa propria con orto per uso proprio. Tiene una mula per uso del suo mestiere, stimata una rendita di ducati 4 e once 6. Possiede una terra seminatoria con alberi pera e cerze nel luogo detto la Cappella”. Il catasto onciario era in pratica l’antesignano degli odierni catasti e rappresenta l’attuazione pratica delle norme dettate da re Carlo di Borbone per un riordino fiscale del regno di Napoli. Fu uno strumento all’avanguardia in termini di equità, teso ad eliminare i privilegi goduti dalle classi più abbienti che facevano gravare i tributi fiscali sempre sulle classi più umili. Rappresenta, inoltre, il primo valido tentativo di effettuare una ripartizione proporzionale del peso fiscale. Il catasto era basato su una duplice tassazione, che prevedeva sia una imposizione sui beni che sulle attività dei contribuenti e dei loro nuclei familiari.

Si chiamò onciario perché la valutazione dei patrimoni sia immobiliari che da bestiame o finanziari veniva fatta in base all’unità monetaria teorica di riferimento, l’oncia, corrispondente a sei ducati. «Il ricorso all’oncia, misura monetaria dell’antichità romana, creò non pochi disagi nei conteggi – spiega D'Arminio – Infatti, vi fu una dualità di denominazione tra moneta di conto e moneta reale di uso comune».

Di pagina in pagina, scorrendo il testo, si apre come uno spaccato socio-occupazionale sulla popolazione del tempo: «Per i mestieri c’era una tariffa apposita stabilita sin dal 1639. Ad esempio lo speziale di medicina, nonché il procuratore erano tassati per once 16. Il viaticale (viaggiatore di commercio), il taverniere, l’armiere, l’ortolano, il fabbricatore, il macellaio per once 12». Il curatore dell’opera precisa che ha effettuato una scelta significativa dell’imponente mole di materiali a disposizione: «Essendo impossibile riportare tutto il catasto ho stimato opportuno presentare una piccola schiera di cittadini contribuenti, il cui capitale imponibile, nel complesso, supera le 100 once». Nell’epoca degli archivi consultati sul web è «fondamentale riscoprire la bellezza di accedere ai documenti originali, anche per una maggiore precisione» conclude D’Arminio.

Paolo Romano

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