Le ruberie sui lavori per costruire strade risalgono a 150 anni fa

La vicenda è documentata dallo storico Donato Cosimato Nel 1865 un colossale scandalo coinvolse anche un prefetto

di ALESSIO DE DOMINICIS

“Ghost . Roads 2” (Strade fantasma 2) fu un’operazione della guardia di Finanza di Salerno che portò nell’aprile 2012 “..all'arresto di un pubblico ufficiale della Provincia di Salerno, un imprenditore e due dipendenti di un istituto di credito tesoriere dell’ente per lavori pubblici mai eseguiti” si legge nelle note diffuse dai giornali, e c’era stato già nel 2010 uno scandalo analogo (Strade fantasma 1) per lavori appaltati dalla Provincia di Salerno.

Ma queste storie recenti son figlie di padri lontani, agli albori dello Stato italiano (negli anni 1862-1865), e questi precursori del peculato nell’amministrazione pubblica della Nuova Italia furono: un nucleo di ingegneri della Provincia, un appaltatore e addirittura un Prefetto. La vicenda che ha per oggetto, guarda caso, l’appalto di nuove strade da parte della Provincia è narrata, con abbondanza di documentazione, dallo storico Donato Cosimato nel suo saggio “Il problema viario nel Meridione agli inizi dello Stato Unitario”, pubblicato sulla rivista “Rassegna Storica dei Comuni”, Anno III, n.4, Luglio-Agosto 1971, pag. 129-140. E sì che centocinquant’anni fa la rete viaria della provincia di Salerno era un problema, del resto comune a tutta la nazione, ma era anche l’occasione per taluni di arricchirsi a danno dell’Erario. Tra gli anni 1861-1864 si spesero, per lavori pubblici su tutto il territorio nazionale, ben 274 milioni di lire, somma equiparabile a diversi miliardi di euro attuali. L’ambizioso programma di opere (strade e tratte ferroviarie in particolare) varato dal ministero dei Lavori pubblici era rivolto allo zelo e alla sagacia dei Governatori (poi Prefetti) e dei Consigli provinciali.

In questa primo avvio di opere per Salerno e provincia, dei circa duecentocinquanta chilometri di strade in progetto, ne furono appaltati soltanto cento. Il capitolato per questo primo lotto, stipulato con l’impresa Giordano di Napoli, prevedeva un costo a chilometro di 17.000 lire, per una spesa complessiva di 1. 700.000 lire al netto di imposte, e i tempi di esecuzione furono stabiliti nell’arco di un quinquennio. Qui prende avvio la colossale truffa messa in luce dai “mazziniani” (l’opposizione di “sinistra” dell’epoca) presenti nel consiglio comunale di Salerno e in quello provinciale, perché dopo oltre tre anni dall’inizio dei lavori, nel 1865, non un solo chilometro di strada era stato consegnato, ma nel frattempo la Provincia aveva versato all’impresa, in rate semestrali come stabilito dal contratto, la bella cifra di 1.515.130 lire, cioè quasi l’intero ammontare dell’appalto. Come era stato possibile?

Semplicemente attraverso l’emissione di falsi certificati di regolare esecuzione, redatti dagli ingegneri direttori, dipendenti della Provincia; certificati che con sapida espressione del consigliere Francesco Paolo D’Urso, ingegnere e relatore nell’inchiesta che seguì alla denuncia della truffa, furono detti “certificati rococò”, ad indicare gli arzigogoli tecnico-amministrativi utilizzati per nascondere la mancata consegna dei lotti e giustificare i pagamenti all’impresa. Dall’inchiesta promossa come detto dall’opposizione al partito di governo, mazziniani e cattolici, si accertò (per citare un solo esempio) che gli stati di avanzamento e i certificati dichiaravano eseguiti i 12 chilometri di strada da Ponte Barizzo a Cappasanta, che invece non si erano neppure cominciati a costruire; e così per altre decine e decine di chilometri su altri lotti dichiarati eseguiti ma mai realizzati.

Nel suo saggio Cosimato enumera altri dati dell’inchiesta, e dalle risultanze finali di questa si accertò che fu versata all'impresa Giordano quasi il doppio delle somme dovute, grazie alla corruzione dei tecnici della Provincia, sospettandosi che questi fossero stati indotti alla truffa dal prefetto, conte Cesare Bardesono, anche lui coinvolto nello scandalo. Il prefetto Bardesono, era uomo del conte di Cavour, in quanto in precedenza aveva fatto parte della sua segreteria personale, e sebbene attraverso alcune deposizioni fosse stato sospettato di concussione nella vicenda, ne uscì pulito nonostante le numerose voci all’interno del Consiglio provinciale che, a conclusione dell’inchiesta rivolge un unanime “voto” al Prefetto Decoroso, che aveva sostituito il Bardesono, affinché “..facesse quanto occorre presso il governo per correggere un esempio così riprovevole di pubblica immoralità e di tradita fiducia, sostenuto in prima linea dal conte Cesare Bardesono, giacché se un prefetto è potente non è certo onnipotente”. Ma certo non potevano immaginare queste “anime candide” che, due anni dopo la sua rimozione dall'incarico, l’ex prefetto Bardesono sarebbe stato nominato Senatore del Regno. Tornando ai casi emblematici rievocati da Cosimato nel suo saggio apprendiamo che, oltre all’impunibilità del prefetto Bardesono, anche l’appaltatore concusso, il napoletano Giordano, che aveva intascato le somme gonfiate, se la cava abbastanza bene essendo state giudicate le sue responsabilità nella vicenda “..non tanto gravi …”. Inverosimilmente è addirittura gratificato “.. tanto che gli fu rinnovato l’appalto, pur essendo state fatte da altri appaltatori offerte più vantaggiose, e fu elevato il prezzo da 17.000 a 21.000 lire per ogni singolo chilometro che restava ancora da costruire”. (pag. 135).

E gli ingegneri “falso-certificanti”? Furono quasi certamente loro, anello debole della catena, a pagare qualche prezzo nella vicenda, essendo finiti sotto processo.

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