VIOLENZA DI GENERE

Le botte alle mogli ripagate con oro e terre

Alla Badia di Cava un atto nuziale del 1079 con la clausola: un marito che malmenava la sposa venne costretto a risarcirla

Oggi, 25 novembre, ricorre la Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Violenza, ultimo rifugio degli incapaci, avrebbe detto Asimov. Eppure ci si imbatte più volte nelle sue grinfie; la si legge sui media, la si ascolta alla radio o in televisione. Un male da debellare, un pestifero tarlo della società da estirpare. Da sempre la violenza, in particolare quella contro le donne, è stata un problema della nostra quotidianità. Un problema secolare, anzi millenario.

Relativamente al tema, infatti, esiste un particolare incartamento vecchio di quasi mille anni. In una pergamena, conservata alla Badia Benedettina della Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni, è possibile consultare e analizzare un documento dall’incredibile valore giuridico, che testimonia le condizioni legali delle donne del secolo XI. La documentazione, edita dalla dottoressa Michela Sessa in “Appunti per la Storia di Cava”, espone una vicenda registratasi nel lontano luglio 1079. In essa si legge che un certo Giovanni detto “Infresature” (Iohanne filio quondam Ursi Atrianensis qui dicutus est Infresature) chiede in sposa una ragazza di nome Anna, figlia di Mauro Atranese.

La proposta di Giovanni è accettata e subito si stipula regolare contratto di matrimonio, avallato dal fratello di Anna, Stefano. Fin qui tutto normale e tutto secondo le leggi e tradizioni dell’epoca. Particolari sono però le clausole che vengono aggiunte al contratto. Tra queste, imposte dal premuroso fratello Stefano a Giovanni, vi è quella di riserva del diritto, nel caso di maltrattamenti inflitti ad Anna, di esigere da Giovanni stesso “il giuramento sui Vangeli per dimostrare la falsità delle accuse” (come se un giuramento sui vangeli potesse cancellare i danni fisici e psicologici provocati dalla mano umana). Ciò non fosse stato fatto, Giovanni avrebbe dovuto corrispondere il pagamento di venti soldi d’oro come penale (viginti solidos constantinos) ai diretti parenti di Anna. Nelle carte successive, il fallo del novello sposo Giovanni. Infatti, l’anno dopo si ritrova il notaio Giovanni (cognato della povera Anna) a far valere la clausola l’anno prima inserita nel contratto matrimoniale. La donna ha subito dei maltrattamenti dal marito e quindi si procede per vie legali.

Come da accordo, viene proposto il giuramento sui vangeli a Giovanni al fine di discolparsi, ma Giovanni non giura sulle sacre scritture e quindi è obbligato a versare i venti soldi d’oro. Altra difficoltà la si ritrova a causa della mancanza di liquidità da parte di Giovanni. Non avendo denaro contante, infatti, Giovanni deve alienare al mundoaldo la sua parte di terreno (acquistata anni prima e precisamente nel 1057) e sita tra Vietri sul Mare e Dragonea (in locis Troccle ubi Gattumortu dicitur et Transboneia). La vicenda continua venti anni dopo. Nel 1095 Giovanni (ovviamente il notaio e cognato della moglie maltrattata) ed Anna si presentano a Salerno innanzi al giudice Grimoaldo per concludere definitivamente le pratiche. Giovanni dona alla donna le terre avute dal marito di questa, ossia Giovanni “Infresature”.

Nel 1109 Anna, ormai vedova, vende i terreni ottenuti per centosettanta tarì salernitani. Una magra consolazione ma certamente interessante se si considera l’antico periodo. Consolazione resa ancora più amara se pensiamo che a distanza di secoli, anche se si sono registrati significativi accrescimenti dei diritti femminili (purtroppo la parità risulta ancora verbale e non reale), continuano a verificarsi violenze contro le donne. Non resta che ricordare le parole di Twin: «Che cosa sarebbe l’umanità, signore, senza la donna? Sarebbe scarsa, signore, terribilmente scarsa».