CARTA GIALLA

Lancusi, officina delle armi

Come racconta Ferrari nel suo libro i Borbone la fecero diventare una Real Fabbrica

«Lancusi. Casale dello stato di Sanseverino in Principato Citeriore, in diocesi della città di Salerno… vi sono molti addetti alla fabbrica di fucili da schioppo, ed un tempo più che in oggi, vi furono valenti artefici». Leggendo questa notizia, fornita da Lorenzo Giustiniani nel suo “Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli” (Napoli, 1802, Tomo V, pag. 206), si sarebbe indotti a credere che l’attività degli armaioli di Lancusi, un’arte nata in forma diffusa nel secolo precedente (1763), fosse col nuovo secolo in via di lenta decadenza. In verità è proprio nella prima metà dell’Ottocento che Lancusi si conferma, sul piano nazionale, tra i principali centri di fabbricazione delle armi da fuoco. Fu con questa produzione, artigianale ma già anche proto-industriale, avviata come fornitura di componenti per la Real Fabbrica di armi di Torre Annunziata e nota come “Officina delle piastrine di Lancusi” , che nella prima metà del XIX secolo Lancusi divenne parte integrante del sistema di produzione di armamento per l’esercito borbonico. Le altre officine erano l'Arsenale di artiglieria di Napoli, la Real fabbrica d’armi di Torre Annunziata, la Real fonderia di Napoli, la Real montatura d’armi, la ferriera di Poggioreale, la fabbrica d’armi di Mongiana in Calabria, gli Arsenali di Messina e Palermo, il Magazzino delle bombe in Gaeta e, dal 1846, la fabbrica di Pietrarsa. L’attività di armaioli costituiva una fonte di reddito importante per gli abitanti di Lancusi e dei centri vicini, i quali la esercitavano anche in forma privata, ossia lavorando in proprio, entro botteghe particolari, ma dovettero subire divieti e limitazioni statali, sia in età murattiana che con la restaurazione borbonica.

L’inquadramento entro precise e codificate regole militari fu adottato per tutti gli opifici del Regno destinati a quel particolare tipo di forniture, e così nel 1837 venne proibito agli armaioli di Lancusi e di Fisciano di fabbricare piastre da fucile “paesane” e dal governo borbonico furono inviati sul posto degli ispettori per controllare. Questa come altre notizie sulla fabbricazione di armi a Lancusi, sono fornite dallo storico salernitano Sergio Ferrari, specialista di storia militare, di armi antiche, industrie e manifatture borboniche, autore tra l’altro di studi approfonditi sull’Officina di Lancusi e del volume di storia militare “La Guardia Nazionale a Salerno e nel Meridione d’Italia - Costituzione, storia, armi (1799-1875)” (Salerno, 2010). Il recente volume di Ferrari “Le fabbriche d’armi dell’esercito borbonico. L’officina di Lancusi” (Salerno, 2017) è stato preceduto da un saggio dello stesso autore, “Le armi di Lancusi”, pubblicato nel lontano 1972 sulla rivista specializzata “Diana Armi” (VI, I, pagg. 72-76), la storica rivista settoriale di cui il Ferrari è stato per lungo tempo redattore. Sulla fiorente attività di Lancusi, espletata fin dal secolo XVIII, fanno fede i documenti dell’epoca, come i censimenti del catasto onciario - la riforma fiscale voluta da Carlo III - da cui si apprende che tra i 150 artigiani censiti nel casale, quasi la metà, ossia ben 64, sono costruttori di fucili, artigiani autonomi.

Si trattava di artieri esperti di meccanica e metallurgia, come del resto fu specializzato per la produzione di metalli lavorati tutto quel vasto territorio della Valle dell’Irno, dall’età aragonese e fino al secolo scorso: a Penta per la lavorazione del rame con “ramari” e “calderari”, lo stesso a Fisciano dove erano pure fabbricanti di chiavi , i “chiavettieri”, a Pandola e a Mercato v’erano “ferrari”, “ferracavalli” e “aurifabbri” (orefici), mentre a Lancusi, appunto, prevalevano “fucilari” e “piastrinari”. Con l’avvento dei napoleonidi sul trono di Napoli, per le esigenze dettate dalla frenetica politica di armamento del decennio 1805 - 1815, molti artigiani del casale di Lancusi, espertissimi nella fabbricazione di fucili, furono costretti ad arruolarsi nelle cosiddette compagnie degli armaioli e a lavorare per il governo murattiano. La militarizzazione imposta dal Ministero della Guerra - come già detto - non piacque agli artigiani di Lancusi, che, pur continuando in qualche caso clandestinamente a produrre in proprio, dovettero però in massima parte adeguarsi all’inquadramento statale della produzione. Si trattò in effetti di un esempio di statalizzazione industriale “ante-litteram”. Così la “Reale Manifattura dei Piastrinari”, fu diretta da militari del reparto di artiglieria, producendo, per i fucili assemblati a Torre Annunziata, il meccanismo a molla che accendeva la carica di lancio: il cosiddetto acciarino “alla micheletta”. Ancora più severamente di quanto aveva imposto Gioacchino Murat agli artigiani di Lancusi, Ferdinando I, reintegrato sul trono, emanò nel 1816 un decreto reale con il quale, all’articolo 9, il reclutamento forzoso stabiliva: «Gli artefici disertori della officina di Lancusi saranno puniti col più alto rigore delle leggi, se non si presentano nel termine preciso o perentorio di giorni trenta». Il timore per le punizioni e la brutale repressione dell’iniziativa privata diedero i loro frutti: in quello stesso anno a Lancusi, con la fabbrica presidiata militarmente giorno e notte, si producevano cento acciarini finiti ogni settimana. In quel periodo, presso l’officina di Lancusi, che lavora a pieno ritmo, si forgiano e si montano anche fornimenti per fucili e pistole e anche, per alcuni anni, si fabbricano canne per moschetti da fanteria. Nel 1840 la fabbrica, ubicata al centro del paese nel Palazzo che fu dei Caracciolo, cessò la produzione, ma non per questo cessò la tradizione, l’attività armeologica delle numerose famiglie artigiane, censite da Sergio Ferrari nelle sue ricerche fino al 1880 circa: erano i Capaldo, i D’Auria, i Papa, i Siniscalchi, Giovanni Landi e il nome più noto presso musei e collezionisti di armi antiche, quel Pietro Venditti che ottenne nel 1872 il brevetto per una pistola a ripetizione con meccanismo a leva, con fino a 26 colpi nel serbatoio, invenzione sviluppata con successivi brevetti nel 1875 e nel 1877.

Le pistole automatiche “Venditti” sono oggi rare e ricercatissime dal collezionismo mondiale nelle aste di armi antiche, trattandosi di prototipi automatici - molto studiati da Sergio Ferrari - e simili alla famosa pistola americana “Volcanic”. Una Venditti prodotta a Lancusi è conservata presso il Museo delle Armi di Gardone val Trompia (Brescia), e un’altra presso il Museo Filangieri di Napoli. Fondamentale contributo alla conoscenza della tradizione armeologica di Lancusi è quindi il citato volume di Sergio Ferrari. Per inquadrare poi l’officina di Lancusi nel più vasto panorama italiano di “Maestri da canne, da serpi, da ruote, d’azzalini, Schiopettari, Archibugiari, Armaioli, Incassatori, Mercanti d’armi e Inventori”, segnaliamo infine il libro di Bruno Barbiroli “Repertorio storico degli Archibugiari italiani dal XIV al XX secolo” (Clueb, Bologna 2012), stampato con il contributo della Casa d’Aste Internazionale che risponde al nome di Czerny’s.