LA STORIA

La Torre di Velia conserva le gesta di miti ed eroi

Svetta sulla collina che domina l’area archeologica: fu costruita nel XII secolo

ASCEA - La Torre di Velia, in epoca medievale Castellammare della Bruca, non sfugge all’occhio del viaggiatore che attraversando il Cilento giunge nei luoghi che hanno visto il passaggio degli eroi, della storia, del mito e della filosofia. Non passa inosservata questa torre svettante sulla collina che domina l’area archeologica di Elea - Velia: immersa in una superba macchia mediterranea e tra secolari ulivi, ha incantato viaggiatori di ogni epoca, da Cicerone che nella lettera a Trebazio scrisse «Amabilior mihi Velia fuit», a Ungaretti che in “Viaggio nel Mezzogiorno” conferì agli ulivi di Velia sembianze di morti. Non sfugge la torre all’occhio attento anche perché costituisce un raro se non unico esempio di architettura medievale che se ne sta indisturbata a guardia di uno dei più bei siti archeologici greco - romani. Il suffisso “della Bruca” aggiunto nel 1212 al toponimo Castellammare, fa riferimento al termine “Bruca”, il bosco di elci che parte dalle montagne di Cuccaro Vetere e si estende dolcemente fino al mare del golfo di Velia. La costruzione del castello di Velia risale al XII secolo, e si giustifica con un motivo storico ben preciso che condivisero moltissimi paesi del Sud Italia affacciati sulla costa: le incursioni dei Saraceni, una minaccia non da poco per le popolazioni costiere costrette in molti casi ad abbandonare i paesi lungo il litorale che furono ridotti a borghi di pescatori e a ritirarsi sulle alture dell'entroterra dove furono innalzati in posizioni sempre strategiche, torri e castelli. Il Cilento subì diverse incursioni dei saraceni, la più terribile fu quella dell’845 quando si asserragliarono a Punta Licosa e ci volle un’alleanza di città, una coalizione di ducati indipendenti del Meridione d’Italia, ispirata e guidata dal Duca di Napoli Sergio I, per poterli snidare nella battaglia di Licosa dell’846. Mario Vassalluzzo in “Castelli, torri e borghi della costa cilentana”" (Edizioni Econ, 1975), fa la conta di tutte le torri che furono realizzate lungo il litorale cilentano e ne annovera almeno cinquantasette.

Esse nel tempo però persero importanza strategica, soprattutto a partire dal XV secolo, quando fu scoperta la polvere da sparo, cambiò il modo di fare la guerra e nell'immaginario collettivo cambiò anche lo spirito e i valori appartenenti alla civiltà cortese, valori che avevano modulato lungamente un'epoca fatta di codici d'onore, di cortesia e di liberalità. La maggior parte degli storici ritiene che il castello di Velia sia stato costruito su ciò che rimaneva del basamento di un tempio pagano, da Alfano, il real camerario che ne fu signore, “dominus de castelli maris”, come si legge in un diploma rinvenuto all’Abbazia di Cava, nel quale dichiarò di possedere anche la chiesa di San Quiricio o Quirino, la Cappella Palatina, oggi utilizzata come piccolo antiquarium. Questa originaria fortificazione posta alla confluenza dei fiumi Palistro e Alento a guardia dell’antico porto fluviale di San Matteo, raggiunge i trenta metri di altezza. Chi ha avuto la fortuna di poterla visitare al suo interno, oltre a godere di una spettacolare vista, ne ha potuto ammirare la peculiarità delle volte ribassate che diminuiscono in altezza man mano che si sale, ha notato la scala elicoidale stretta che collega gli ambienti circolari che si susseguono in altezza, e le caditoie, ovvero le fessure studiate per scagliare pietre in direzione del nemico, ha notato i beccatelli, elementi architettonici ed anche ornamentali che in costruzioni come i castelli, sostengono le parti sporgenti dell'edificio.

Non deve stupire questa soluzione architettonica dell’edificio che fu studiata lasciando nulla al caso, ma per avere la possibilità di fronteggiare l’assalto di numerosi nemici con pochi uomini asserragliati nella torre, che non aveva in origine né scala esterna né un ponte levatoio e neppure possibilità di accesso se non attraverso corde. Nel XV secolo, questa torre fu trasformata in palazzo baronale, maniero di caccia del signore di turno. Il borgo circostante era ancora vivo nel XVII secolo, come ci attesta il risultato del censimento del 1648 che registrò la presenza di dodici famiglie, dette all'epoca fuochi. In seguito all’epidemia di peste del 1656, il borgo fu completamente abbandonato e nei primi decenni del XX secolo interamente distrutto per consentire le ferventi attività di scavo.

Mariella Marchetti