«La mia Borina vedova bianca per nulla geolocal»

SALERNO. «Dal lunedì al sabato, in sei cimiteri diversi, in sei diversi paesi, fui la vedova di sei defunti mariti sconosciuti». Borina, all’anagrafe Liboria Serrafalco, sposata Liuzzo, «trasforma,...

SALERNO. «Dal lunedì al sabato, in sei cimiteri diversi, in sei diversi paesi, fui la vedova di sei defunti mariti sconosciuti». Borina, all’anagrafe Liboria Serrafalco, sposata Liuzzo, «trasforma, trasforma tutto fino all’estremo, fino in fondo», scrive nelle note di regia Licia Maglietta, protagonista di “Manca solo la domenica”. A sei anni dal debutto al Teatro Nuovo di Napoli, lo spettacolo approda a Salerno (oggi e domani all’Augusteo, nell’ambito della rassegna del Ghirelli) dopo aver attraversato i palcoscenici di tutt’Italia e d’Europa. Tra risonanze marqueziane, ritmi caleidoscopici che intrecciano note tzigane e nenie napoletane, parole ricamate da un’impronta erinnica, la Rosalba di Pane e tulipani, dimenticata in autogrill dopo una gita a Paestum, dà voce a una storia eterna e universale. Che travalica confini geografici e temporali, per sussurrare che sì, «esistono amori che non danno la felicità». Ma se ne possono vivere altri.

Licia Maglietta, ci racconta la sua Borina?

Borina è una vedova bianca, rappresenta tutte quelle donne lasciate dai mariti per via dell’emigrazione o delle guerre. Abbandonate con uno status indefinito, perchè non sono nè vedove, nè possibili spose. In una parola, restano senza una propria vita.

Lo spettacolo è tratto da “Pazza è la luna” di Silvana Grasso, ed è ambientato in Sicilia. Liboria Serrafalco però sembra un personaggio difficilmente geolocalizzabile.

Non lo è affatto. E volutamente. Il linguaggio è ricco, intessuto di elementi arcaici e di grecismi. La colonna sonora, affidata ad un fantastico musicista maestro del bayan, Vladimir Denissenkov, ha delle influenze slave, ma ci sono anche due accenni alla canzone napoletana. C’è una trasversalità marcata, perchè Borina, come molte donne, non si fa martire di questo status di vedova, ma trova una soluzione fantasiosa e per certi versi molto femminile, ad una condizione che le fa vivere una dimensione parallela, quasi onirica, rispetto a quella che affronta nel suo paesino, tra l’orto ed i ragazzini del catechismo.

Abbandonata ad otto mesi dalle nozze deciderà di trasformarsi, dal lunedì al sabato, nella vedova - devotissima - di sei defunti sconosciuti.

Le inconsapevoli spoglie di questi uomini diventano oggetto di una ritualità poetica, fatta di rose baccarà sulle loro lastre tombali. E’ una sorta di tournèe da grande attrice, che le consente di sfoggiare gli abiti messi da parte nell’attesa della notizia della morte del marito. Che non arriverà. Perchè Cataldo tornerà, dopo trent’anni, come spesso accade quando gli uomini, ormai anziani, desiderano mettere radici nella loro terra con la sicurezza dell’essere padroni.

La storia che porta in scena in forma di monologo offre uno spaccato diverso su uno dei tanti spigoli dell’amore. Ed è un frutto di un’intesa tra due donne, come accadde per Delirio amoroso, nato dopo l’incontro con Alda Merini.

Un’esperienza meravigliosa, come questa, del resto, perchè non sempre capita di interpretare testi scritti da autori ancora in vita. Ed è invece molto bello potersi confrontare, capire alcuni modi di essere che sottendono la scrittura.

Ha lavorato con Martone, Cecchi, Soldini, solo per citare alcuni registi, passando dal cinema al teatro e alla televisione. A quale dei suoi lavori è rimasta più legata?

Non posso fare una classifica, perchè ogni cosa mi è appartenuta. Tutte le tappe sono state necessarie in quel momento. In particolare il teatro. Senza di quello non saprei dire che attrice sono, perchè il palcoscenico è il luogo dove posso sperimentare e capire, è un laboratorio che gode del tempo che manca al cinema. Quello che mi interessa è riuscire a creare l’alchimia con la platea, anche in un teatro di un paesino sperduto con dieci spettatori.

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