LA STORIA

La goccia di Fleming: così “Caso e Fortuna” salvarono l’umanità

Lo scopritore della penicilina fu “aiutato” da circostanze singolari per scovare la muffa da cui è derivato il farmaco

A Londra, nella cripta della cattedrale di San Paolo, accanto al duca di Wellington e a Orazio Nelson riposa, dal 1955, sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina. Come Wellington e Nelson, anche il grande batteriologo scozzese vinse la sua battaglia, fra le più decisive del XX secolo. Nelle vite degli uomini illustri, il Caso gioca spesso un ruolo curioso: così è per Fleming. Per caso diviene medico, per caso si occupa di batteriologia (in realtà gli sarebbe piaciuto fare il chirurgo), per caso scopre il lisozima (un enzima in grado di distruggere alcuni batteri, sia innocui che patogeni) e ancor più per caso - perché una muffa arrivò misteriosamente e provvidenzialmente nel suo laboratorio - scopre la penicillina. Durante gli anni della Prima guerra mondiale, al St. Mary’s Hospital di Londra, sfilano davanti agli occhi del giovane Fleming (era nato nel 1881) gli orrori dell’inutile strage e assiste impotente alla morte di migliaia di feriti. Resta una speranza: scoprire qualcosa che vinca quelle terribili infezioni. Ancora una volta è il Caso a venire incontro allo scienziato.

Un giorno, mentre osserva una coltura microbica, nota un fenomeno interessante. Il suo allievo, dottor Allison, lo sente esclamare: «Incredibile!». La coltura microbica era coperta di grandi colonie gialle, ma il fatto sensazionale era l’esistenza di una larga zona senza microrganismi. Fleming spiegò al suo assistente che, un giorno in cui era raffreddato, egli aveva lasciato cadere sulla coltura una goccia del suo muco nasale. Il risultato era chiaro: quella goccia doveva contenere una sostanza in grado di uccidere i microbi. Sarà il professor Wright a chiamarla lisozima (sostanza contenuta anche nel siero del sangue e in altri liquidi organici, specie nelle lacrime e nella saliva). Purtroppo la sostanza scoperta da Fleming agisce soltanto contro germi banali e inoffensivi e non contro quelli delle principali malattie infettive. Bisognava spingere la ricerca più a fondo, sperimentare nuove sostanze. Fleming decide di provare con le lacrime. Una sola lacrima è sufficiente per dissolvere una colonia di microbi; e per alcune settimane le lacrime di Fleming e quelle del suo assistente furono la materia prima della loro febbrile ricerca. Mai come in quelle settimane al fruttivendolo del quartiere arrivarono tante richieste di cipolle. Le usavano a turno per lacrimare sulle loro provette. L’ambiente scientifico mostra disinteresse e anche sarcasmo, ma Fleming non si scoraggia e continua con i suoi esperimenti; alla ricerca di quella sostanza che possa distruggere i microbi senza danneggiare le cellule del paziente. Rivolge la sua attenzione alle muffe, sperimentandone diversi tipi. Nel 1917 individua nel Penicillum notatum, una muffa dalle spiccate caratteristiche antibatteriche: la chiama penicillina e tenta invano, con i propri collaboratori, di produrla in laboratorio.

Poi, un giorno, interviene la fortuna o il caso. Siamo nel 1928, e sta per nascere un farmaco che cambierà la vita degli uomini. La miracolosa sostanza che egli ricerca da anni, entra un mattino nel suo studio. Leggera e silenziosa, si posa su una scatola contenente una colonia di stafilococchi che Fleming sta esaminando. Si tratta di una comunissima muffa, ma da dove proviene? Fleming ha sempre affermato che era “probabilmente” entrata dalla finestra del suo laboratorio aperta sulla affollata e chiassosa Praed Street. Nessuno mai mise in dubbio questa versione, anche perché “romantica”. Ma molti anni dopo, il professor Hare, che pure lavorava al St. Mary’s Hospital, scrisse che i vetri erano chiusi, proprio per evitare contaminazioni e che la muffa salì dal piano sottostante, dove un altro ricercatore stava analizzando muffe raccolte nelle case di asmatici. Fleming si china sulla coltura e nota con stupore che attorno a quella muffa le colonie di stafilococchi si sono dissolte. Lo scienziato intuisce di aver trovato qualcosa di straordinario. Ogni esperimento conferma e incoraggia le sue speranze. La muffa, identificata come un “penicillum”, rivela presto due straordinarie qualità: impedisce la crescita di temutissimi germi e non nuoce. Siamo di fronte al fenomeno “dell’antibiosi”, da cui la parola antibiotico. Il 13 febbraio 1929, Fleming comunica i primi risultati della sua scoperta. La relazione, però, cade nella indifferenza generale e dovranno passare dodici anni prima che il prodigioso farmaco possa essere sperimentato sull’uomo.

Dopo molti tentativi, un gruppo di chimici e batteriologi dell’università di Oxford, guidato da Florey e Chain, riesce a isolare un preparato di penicillina che si rivela straordinariamente efficace. Purtroppo l’industria farmaceutica inglese, oberata dal lavoro di guerra (siamo nel 1941) e ostacolata dalla deficienza di attrezzature, non è in grado di produrre penicillina su larga scala. L’America è la speranza. L’opera di Fleming viene finalmente riconosciuta, il suo nome entra in ogni casa, la gratitudine del mondo è infinita. I laboratori americani, nel 1943, cominciano a produrre penicillina in quantità apprezzabili. I primi a esserne dotati sono gli ospedali militari, poi quelli civili. Il 25 ottobre 1945, quando già la penicillina comincia a lenire le innumerevoli piaghe della Seconda Guerra Mondiale, la giuria del Nobel assegna il premio a Fleming, a Florey e al professor Chain. Quando l’11 marzo 1955 Sir Alexander Fleming muore, aveva salvato più vite di ogni altro uomo vivente; forse di ogni uomo che sia mai apparso su questa Terra. Ancora oggi l’attenzione dei visitatori della cattedrale di San Paolo è tutta rivolta alle due fastose tombe contigue (di Wellington e di Nelson) a quella del grande benefattore, caratterizzata da una semplice lastra di pietra con le lettere “A. F.”. Così, anche dopo la morte, Fleming dorme nell’ombra, senza sfoggi, in umiltà: come volle sempre vivere.