La famiglia di artisti e imprenditori “padrona” di Salerno

I progressi in campo economico spinsero Gaetano ad acquisire i suoli per costruire il nuovo edificio

di ENZA SAMBROIA

Fra le storie delle famiglie salernitane e delle loro dimore urbane nel Novecento non si può tacere la vicenda dei D'Agostino, nota famiglia di artisti, architetti, industriali, e del palazzo edificato nel 1915 sui suoli ricavati dalla colmata a mare, progettata dall'Ufficio Tecnico comunale sotto la direzione del Colamonico durante l'amministrazione Quagliariello.

Ma la storia artistica dei D'Agostino inizia ben prima del Novecento, dal 1869 al 1872, Fortunato e il figlio Gaetano (1837-1914), con l'aiuto del cugino Ermenegildo Caputo dirigono i lavori di decorazione del nuovo teatro Comunale: oltre ai diciassette medaglioni raffiguranti i principali musicisti, poeti e artisti italiani, eseguono anche le pitture murali e le tele che ornano le sale dell'annesso "Casino dei Nobili". Gaetano fu pittore e decoratore di gran talento formatisi presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli, città in cui lavorò per importanti committenze nella chiesa del Gesù Vecchio, nella Sala del Rettorato della Reale Università di Napoli e nell'Accademia Reale, nel Conservatorio di Musica.

Alla vena artistica si accoppiò la capacità imprenditoriale, Fortunato sin dal 1870 aveva impiantato in Brignano una fabbrica di Carbonato di piombo a sistema Olandese modificato con stufe continue, setacciatoi meccanici e con il mulino a motore animale. Gli serviva per produrre una vernice bianca molto coprente utilizzata anche negli affreschi. Scoperta nei siti di Brignano la presenza di argilla lavorabile aveva inoltre realizzato una fabbrica di laterizi che impiegava un sistema di forno Hoffman modificato per consentire la realizzazione di diversi prodotti ceramici fra cui reggiole decorate alla napoletana o ceramiche ricoperte da un lustro metallico dai riflessi madreperlacei.

La fortuna economica e la necessità di una nuova residenza urbana probabilmente legata anche alla commercializzazione di materiali edili e dei prodotti industriali delle fabbriche spinsero Gaetano D'Agostino ad acquistare il suolo C delle aree di risulta delle "Opere di sistemazione della spiaggia urbana e di altri suoli disponibili verso ponente, tutti prospicienti sul golfo e destinati alla edificazione". Si tratta del suolo posto in prossimità dell'edificio comunale poi ceduto dai D'Agostino alla famiglia Natella che negli stessi anni su progetto dell'ing. Domenico Lorito realizzerà il fabbricato noto appunto come Palazzo Natella. La cessione dell'area, credo motivata dalla scelta di disporre di uno dei suoli più ad oriente e vicini alle attività dell'industria, si concretizza parallelamente all'istanza per l'edificazione di un fabbricato sul suolo F, presa in esame dalla commissione edilizia nella seduta del 19/2/1916.

Del progetto iniziale, a firma dello stesso Ing. Gaetano D'Agostino, non si conservano grafici, probabilmente perché inesistenti o molto sommari, in contrasto con quanto indicava il capitolato di vendita che prevedeva un progetto dettagliato di piante e prospetti sui fronti pubblici, nonché della sezione trasversale per meglio comprendere l'articolazione delle nuove fabbriche. Lo attestano le dichiarazioni della Commissione Edilizia che rimanda l'istanza, chiedendo all'Ing. D'Agostino presente - in maniera del tutto irrituale - alla seduta del 16 marzo del 1916 un'integrazione in tempi brevi dei grafici di progetto, insufficienti per comprendere gli effettivi sviluppi prospettici del fabbricato in un'area nevralgica della città. La questione non dovette turbare molto l'ingegnere d'Agostino che aveva già iniziato la costruzione del fabbricato, tanto che, come con disappunto sottolineava la commissione edilizia, "risulta pressoché superfluo esprimere un parere", visto che il D'Agostino "…giovandosi delle facoltà del capitolato di vendita dei suoli … e dell'art. 12 del regolamento edilizio, ha già iniziato ed elevato la costruzione del fabbricato". Pressioni di natura politica ed economica portarono l'allora sindaco di Salerno a sollecitare la pratica dei D'Agostino nonostante non fossero stati prodotti tutti i grafici richiesti, e mancasse la relazione asseverata. Rilasciata la concessione, i lavori per la costruzione dell'edificio iniziarono alacremente e in poco meno di due anni erano quasi del tutto completati. La famiglia elesse l'edificio, in un'elegante stile floreale con motivi ornamentali a bassorilievo sul portale e nelle edicole dei balconi, non solo a propria dimora ma a simbolo stesso del proprio prestigio sociale ed industriale, tant'è che nel 1927 a firma dell'Arch. Matteo D'Agostino (1905-1969) veniva richiesta concessione di trasformazione dei locali del piano terra per l'allestimento di una mostra dei materiali dell'azienda, e la relativa trasformazione del fronte su via Roma con la creazione di un'apertura con edicola per l'insegna. Sono gli anni più intensi sotto il profilo creativo per l'architetto che realizza diversi progetti in un raffinato decò, la Villa Barone con l'ing. Mario Siniscalchi e il Palazzo Santoro ancora con Siniscalchi e l'ing. Antonio Santoro, la palazzina Marano in via Monti, Il palazzo Rizzo in via Arce. L'accuratezza degli ornati, la scelta di un gusto eclettico per ciascuna delle fabbriche denota lo stretto rapporto nei suoi lavori fra storia e progettazione.

La necessità di nuovi alloggi per gli eredi condusse nel maggio del 1933, in piena epoca fascista, la famiglia a fare richiesta per la soprelevazione del fabbricato di due piani, su progetto dello stesso Matteo. L'istanza fu accolta solo nel maggio del 1934 non senza difficoltà da parte della Commissione Edilizia (si segnala in merito una lunga lettera, che si conserva presso l'archivio storico comunale, degli ingg. Centola e Ricciardi contrari alla soprelevazione), infatti, si rendeva necessaria la modifica del Regolamento Edilizio che fissava per gli edifici l'altezza di tre piani.

A nulla valsero oltre alle considerazioni di ordine tecnico le lamentele e le pressioni delle famiglie che abitavano nelle immediate vicinanze e prospettanti sulla via Roma. Nel verbale n. 38 del 27-5-1933 sulla vexata questio della soprelevazione fu necessario ricorrere alla votazione segreta: per 6 voti a quattro fu espresso parere favorevole alla soprelevazione del fabbricato dando il via libera alla soprelevazione di quasi tutte le fabbriche prospettanti sul litorale. Un certo interesse rivelano tuttavia le osservazioni dell'Architetto, contenute nella relazione tecnica che accompagnava i grafici di progetto della pratica di sopraelevazione, di cui si conserva la sola pianta del piano tipo; scrive il D'Agostino "... in caso si soprelevazione si presentano in generale due soluzioni, o collegarsi tanto al sottostante fabbricato in modo da nascondere e confondere la soprelevazione con la struttura sottostante, oppure sentire chiusa la fase dell'architetto precedente e sovrapporre la nuova struttura tenendo presente di armonizzarla senza rinunziare alla propria sensibilità ed alla propria epoca". D'Agostino, seguendo le istanze delle moderne teorie del restauro, preferì la seconda soluzione, conservando i soli allineamenti delle aperture e le valenze cromatiche dei piani inferiori - rosso mattone per i fondi, colore cemento naturale per le parti modellate. Con l'intervento di soprelevazione l'edificio venne pure adeguato funzionalmente con l'introduzione dell'ascensore e dell'impianto di riscaldamento.

Alla metà degli anni quaranta Matteo, costretto a rinunciare alla professione di architetto, oramai assorbito dall'amministrazione delle diverse attività industriali, incontrò a Ravello la disegnatrice Ernestine Virden Cannon (1904-1968), americana che si trasferì a Salerno nel dopoguerra. Dal sodalizio umano e professionale fra Matteo in grado di creare forme inusuali e fantastiche all'interno delle abitazioni e Ernestine raffinata disegnatrice di delicati e originali soggetti ad acquerello, ebbe inizio l'avventura artistica della produzione industriale della ceramica Ernestine, con sede in via Irno, che conquistò il mercato internazionale e attirò artisti come Giò Ponti, acquirenti illustri come Jacqueline Kennedy, i reali di Belgio e di Inghilterra. Rompendo in maniera netta con la tradizione di Vietri e Salerno gli oggetti semi-industriali si ispiravano al design d'avanguardia e alle nuove tendenze dell'arte americana. Ma una ancor più raffinata produzione di disegno "sotto coperta" fu ottenuta grazie alla competenza del chimico ingegnere ceramico tedesco Horst Simonis (1923-2002) esperto di colori a smalto, dalle cui sperimentazioni nacquero le tecniche più evolute e la serie dei Rossi Selenio e dei Blu Cobalto, ottenuti con un processo di vetrificazione delle superfici dipinte che lasciavano visibili i disegni dorati di elementi vegetali.

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