LA LETTURA

La ciocca trovata sul marciapiede

Rebekka si chinò per raccoglierla, la mostrò al marito e la conservò per non dimenticare

Rebekka, l’anziana signora richiamata in servizio dopo l’entrata in guerra, lavorava presso la biblioteca della città di Sonnenstein, e per tornare a casa passava accanto al castello tutti i pomeriggi, proprio davanti alla farmacia del dottor Vogel. Mentre tornava a casa, uno di quei pomeriggi, si chinò per raccogliere qualcosa dal marciapiede. Appena fu a casa si rivolse apprensiva a suo marito: «Guarda». «Cos’è?», chiese l’uomo dopo aver posato sul tavolino il giornale dal quale era intento a leggere i necrologi, aver sollevato gli occhiali e dopo avere dato un’occhiata corrucciata alla mano di sua moglie Rebekka, allungata verso di lui con le dita strette intorno a un ciuffo castano. «Capelli, credo siano capelli ». La voce della donna si era caricata di un velo di ansia. Suo marito rimase in attesa, sforzandosi di capacitarsi del comportamento di sua moglie. «Li ho raccolti per strada, tornando a casa». «Cosa ti metti a raccattare, adesso». Poi il tono di rimprovero fece posto alla preoccupazione. «Sei sicura di sentirti bene, Rebekka?» La donna sorrise, per rassicurarlo, ma aggiunse: «Ne ho trovati anche ieri, e ieri l’altro». Suo marito abbassò la testa, come stanco, mentre sua moglie ripeteva “Ieri e ieri l’altro.” «Anche la scorsa settimana, Berti, anche la scorsa settimana c’erano ciocche di capelli in giro per Sonnenstein ». «Cos’è, i parrucchieri di Sonnenstein non possono più tagliare i capelli alle signore? » «Sono anche capelli di uomini, Berti». Quando insisteva nel pronunciare il nome di suo marito come un punto esclamativo a fine di ogni frase, lui sapeva di non avere scampo. «Tu lo sai, lo sai come me, cosa significano questi capelli, Berti». Li lasciò cadere sul tavolino accanto al giornale, dove entrambi li guardarono a lungo. «Vogliono dire una cosa sola ». Ogni giovedì di ogni mese dell’anno, dai camini del castello di Sonnenstein si levava il fumo chiaro di innominabili sospetti, su cui la popolazione taceva. Con le volute bianche fuoriuscite dalle ciminiere, per aria volteggiavano anche rivoli di ciuffi di capelli, intere ciocche svolazzavano sulle case e le strade, finendo nei vicoli, fra l’erba, nel ruscello, sui marciapiedi. Era come un invito a porsi domande, un invito a non dimenticare. Quelle ciocche erano come insistenti punti di domanda: interrogativi che esigevano una risposta. «Rebekka», disse l’uomo. Poi si concentrò sul suo respiro affannoso – era malato. Quando rialzò la testa sua moglie lo stava fissando; le disse: «Siamo vecchi». «Ma siamo ancora vivi». Non gli dava tregua. “Vivi.” E con questo? Cosa avrebbero dovuto fare? Cosa avrebbero potuto fare? Precipitare nell’abisso è facile, basta compiere il primo passo. Può essere sufficiente anche solo indietreggiare di fronte al male. È il cielo che ci è precluso, sempre; per quanti salti ci sia dato tentare, sempre una forza ci riporta in basso. Nei giorni seguenti gli sguardi di Rebekka si tennero sempre più verso l’alto, sempre meno sulla strada. Chissà se ciò l’aiutò a mantenersi più vicina al cielo. Ma anche le strade di Sonnenstein, come tutte le strade della Germania, si mantennero, in seguito a quegli episodi più pulite, fin troppo. Quella estrema pulizia saltava ugualmente all’occhio, anche quella era una prova dell’operato segretamente svolto dietro gli alti muri del castello e che il Reich voleva tenere nascosto perché scomodo, difficile da fare accettare a una popolazione composta ancora da troppe Rebekka. Alle eliminazioni assisterono sempre più spesso estranei al personale dei centri di eutanasia; vennero proiettati film a beneficio di membri delle SS, gerarchi, ufficiali, dirigenti di uffici pubblici e semplici civili. Bisognava accettare, conoscere e accettare. Conoscere il male e accettare la cura. Quando Berti morì, nel suo letto – una complicazione polmonare recise il suo già fragile cuore di vecchio – Rebekka non ebbe lacrime per porre il suo dolore più in alto di quello che la Germania, ne era convinta, pativa in quei duri giorni di guerra. Lei stessa non immaginava su quanti fronti la battaglia era aperta. Rebekka quel giorno e il seguente non andò a lavorare. Fra le altre cose volle tenere per sé una ciocca di capelli di suo marito. Li tagliò ordinatamente e li legò accuratamente con un nastro bianco di seta. Li teneva di solito nella borsetta, o in una tasca, per ricordare. Per non dimenticare. Almeno per non dimenticare.