AMORI E DELUSIONI

La bella salernitana che respinse Enrico Caruso

Le nozze con Giuseppina saltate per il flirt del tenore con una ballerina. All’ombra dell’ Arechi l’amicizia col medico Marano

Enrico Caruso fu un tombeur de femmes? Fino al giorno in cui sposò l’americanina Dorothy Benjamin, di venti anni più giovane di lui, il grande tenore napoletano collezionò molti flirt, arrivando perfino a essere amato contemporaneamente da due sorelle, Ada e Rina Giachetti, ambedue soprano di eccellenti qualità. Però, come tutti i Casanova, le frecce di Cupido fecero soffrire anche lui. La prima delusione amorosa la incassò proprio a Salerno, la città che lo applaudì in ben dodici opere rappresentate nel suo teatro Massimo nelle due stagioni 1896 e 1897. Caruso non fallì un solo appuntamento con i salernitani e si può dire che proprio dal “Verdi”, il teatro voluto fortemente dal sindaco Matteo Luciani, spiccò il volo verso i grandi palcoscenici nazionali e internazionali.

A Salerno il giovane Caruso giunse grazie a una segnalazione dell’ex tenore Ciccio Zucchi a un giornalista e impresario teatrale locale che allestiva i cartelloni del teatro comunale. Si chiamava Peppino Grassi ed era proprietario e direttore del periodico La Frusta, molto letto negli ambienti che contavano. Grassi aveva fiuto, non per niente si vantava di «aver messo la penna in mano» a Eduardo Scarfoglio, collaboratore del suo giornale quando il fondatore de Il Mattino studiava a Salerno negli anni in cui il padre era giudice presso il locale tribunale. Ascoltando la voce di Caruso, Grassi intuì di avere in mano un giovane cantante di grandi possibilità e invitò al “Verdi” il suo amico Nicola Daspuro, giornalista, librettista (“L’amico Fritz”, di Mascagni) e agente, a Napoli, dell’editore Sonzogno. Daspuro ascoltò Caruso in gran segreto nella “Gioconda” di Ponchielli e rimase così favorevolmente impressionato da correre a Roma e convincere Sonzogno a scritturare lo sconosciuto tenore per il Teatro Lirico di Milano, in autunno, con paga fissa e il rimborso di tutte le spese, abiti compresi.

Intanto Giuseppina Grassi, la bella figliola del giornalista, studentessa di canto, faceva gli occhi dolci al bel tenore, ospite fisso della sua casa. Presto i due si fidanzarono, anzi fu addirittura stabilita la data del matrimonio, fissato subito dopo le feste di Carnevale 1897. Caruso, però, si avventurò in un flirt con una ballerina della “Gioconda” e Giuseppina non volle più saperne di lui nonostante gli volesse un bene dell’anima. Il padre cercò di calmare la collera della giovane, ma non ci fu niente da fare e Enrico lasciò in fretta la città e il teatro dove si era rigenerato grazie al sostegno dei loggionisti, dello stesso don Peppino Grassi e del maestro Lombardi, il quale non solo aveva perfezionato la voce dell’artista, dandole più estensione e personalità, ma aveva anche migliorato la sua impostazione scenica. Fruttuosa per il tenore fu anche l’amicizia sorta tra lui e il medico salernitano Salvatore Marano, uno dei primi specialisti italiani di patologia della voce. Marano lo soccorse il giorno in cui ebbe problemi alle corde vocali e, in seguito, si prodigò con consigli e calde raccomandazioni quando il cantante gli scriveva dall’estero di avere l’ugola “un poco stanca”. I due avevano progettato di pubblicare un libro di poesie scritte dal medico, con lo pseudonimo di “Nunzio Panunzio”, con le caricature del cantante, il quale era un vero talento in materia. Non se ne fece niente, tuttavia la loro amicizia non si interruppe mai, e fu un gran bene per il tenore. Insomma a Salerno Enrico Caruso trovò tutto ciò di cui aveva bisogno per rilanciarsi e dimenticare la vita dura, i sacrifici e le umiliazioni che aveva affrontato quando era andato via dal vicolo, dove era nato e cresciuto. Aveva cantato nel coro della piccola chiesa del rione e, per qualche spicciolo, ai matrimoni e con le postegge dei ristoranti di Posillipo e di Santa Lucia.

Aveva fatto anche il meccanico, ma a 17 anni, dopo aver pianto la morte dell’amata mamma, donna di pulizie nelle case dei ricchi, aveva deciso di educare la voce, studiare con i maestri Di Lutio e Vergine e lasciare per sempre il vicolo ma senza dimenticare le sue umili origini. Finito il flirt con la ballerina, Caruso conobbe a Livorno Ada Giachetti, sua partner nella “Traviata” e in altre opere. Era bella e passionale come piaceva a lui. Caruso non navigava nell’oro e prese una stanza in fitto presso la casa estiva dei Giachetti a Firenze. Rina, la più piccola, diciassettenne, anche lei cantante lirica, prese immediatamente una sbandata per l’ospite napoletano, ma la sorella glielo soffiò, nonostante fosse sposata e madre di un bambino. Ada si separò dal marito e con Enrico intraprese un menage durato undici anni senza sposarsi e sempre con la giovane sorella Rina nei paraggi di Enrico, nel frattempo diventato padre di due ragazzi, Rodolfo e Enrico jr. Ada rinunziò a una carriera brillante per essere vicina all’uomo che aveva scelto e anche grazie a lei Enrico divenne famoso e ricco, comprò una grande villa a Lastra e Signa, vicino Firenze, e la famiglia visse nel lusso e nell’agiatezza grazie alle tournèe milionarie del cantante , ormai star del Metropolitan di New York, e alle strepitose vendite dei dischi che incideva, specialmente quelli con le canzoni della sua Napoli.

Purtroppo Ada si innamorò dell’autista di famiglia, con il quale fuggì a Nizza ferendo a morte il suo compagno. I due amanti tentarono perfino di estorcergli del danaro.
Sulle prime Enrico sopportò il tradimento per salvare il rapporto con Ada, che amava. Ma fu tutto vano. I tre finirono in tribunale e Ada fu condannata a un anno. Non vide la prigione nemmeno un giorno perché fuggì in Argentina con un nuovo amante. Una storiaccia, ma Enrico non dimenticò mai la madre dei suoi due figli e le inviò delle somme di danaro quando seppe che viveva in miseria. Intanto l’altra Giachetti, Rina, diventata nel frattempo un soprano di successo, lo attendeva ogni volta che tornava dalle tournèe. Enrico Caruso trovò, finalmente, pace quando si innamorò di Dorothy Benjamin, che sposò nell’agosto 1918. Ebbero una figlia, Gloria, ma la loro felicità non durò a lungo. Enrico si spense in un grande albergo di via Caracciolo, a Napoli, la mattina del 2 agosto 1921. Aveva 48 anni e tutto il mondo lo pianse.