LE INDAGINI DEL COMMISSARIO MARICONDA/2

La “bella” contesa: sangue al Vicolo della Neve

Verso mezzanotte nell’attraversare il piazzale della stazione erano stati informati che i due sfruttatori erano venuti alle mani «Fate qualcosa, perché quelli si ammazzano...»

Il commissario Mariconda vide contemporaneamente il gatto e la goccia di sangue, brillava al raggio della torcia, e le zampe della bestiola l’avevano confusa passandoci su. “Gatto nero - borbottò al suo fianco il maresciallo Tagliaferri- porta scalogna. Il commissario si chinò sul selciato e scorse altro sangue: “A qualcuno ha certamente portato sfortuna” rispose, e avanzò a schiena curva dietro la pista di quella macabra pista rossa. “Forse siamo ancora in tempo”, disse Tagliaferri con tono poco convinto. “Temo di no, anche se non verserò una lacrima sulla sorte di quei farabutti. Comunque il nostro dovere ci impone di evitare che uno dei due ci lasci la pelle”.

Proseguirono a tentoni. Avevano raggiunto senza difficoltà il luogo e si erano orientati, al buio, in quel dedalo di viuzze e di scale che caratterizzavano la zona del centro storico. Già, perché era notte. La notte di un giorno di marzo del 1962, a Salerno, presso la cui Questura Giuseppe Mariconda prestava servizio in qualità di vice-commissario.
Uno scalpitìo affrettato di passi alle sue spalle lo indusse a sollevare la lampada tascabile per illuminare il nuovo venuto. Si trattava dell’agente Pasquale Migliavacca che sopraggiungeva trafelato e agitava una mano per attirare l’attenzione di Mariconda. “Hai verificato in ufficio?”, gli chiese non appena fu vicino. “Sì, dottore- rispose ansante – e ho avuto conferma di quanto già sapevamo. La donna si chiama Eusebia, detta “la capitana”, e gli individui che hanno litigato per causa sua sono Enea Lombardini, pregiudicato, 22 anni, mentre l’altro, Antonio Passagrande, 20 anni, pregiudicato anche lui… rispettivamente primo e secondo protettore della prostituta”.

“Dove abita Passagrande?” “Non si conosce…non si sa dove abita con precisione, ma praticamente vive con la sua amante, Rosalia Orimbelli, 22 anni, a pochi passi da qui. La ragazza pare sia molto attraente, bruna, formosa, capelli lunghi, occhi neri”.
Un’ora prima, verso la mezzanotte, nell’attraversare il piazzale della stazione, erano stati informati che i due sfruttatori erano venuti alle mani e che, una volta divisi a fatica da alcuni presenti, si erano allontanati in diverse direzioni proferendo terribili minacce. “Fate qualcosa - avevano raccomandato i presenti – altrimenti quei due si ammazzano…”.
Era presumibile che il Passagrande sarebbe rientrato in casa di Eusebia, ma c’era il timore che Lombardini vi si sarebbe precipitato anche lui per regolare i conti. Ecco perché a rapidi passi i poliziotti si erano addentrati in quell’agglomerato di “bassi”, di vicoli con poca luce, adatti ad ogni tipo di agguato. Ma forse erano giunti troppo tardi. La pozza di sangue che Mariconda scansò appena in tempo, subito dopo aver girato l’angolo del vicolo, gli tolse ogni dubbio. Il cadavere che credeva di trovare non c’era, ma di certo in quel punto era avvenuto lo scontro tra i due. E uno di essi, a giudicare dalla pozza di sangue, aveva forse perso la vita.

Il commissario intravide delle ombre muoversi in fondo al vicolo e incaricò il maresciallo di cercare eventuali testimoni oculari. Mariconda e l’agente Migliavacca si precipitarono in Vicolo della Neve dove Eusebia “la capitana”era come in attesa. La donna li mise al corrente dell’odio che accecava i due giovani, e ammise che il suo primo protettore, il Lombardini, aveva atteso il ritorno di Passagrande e gli si era scagliato contro, una lotta furibonda. Il Lombardini aveva avuto la meglio, no, non sapeva se l’avesse ucciso, certo la coltellata era stata “brutta”; si era poi dato alla fuga, e alcuni uomini del vicinato avevano trasportato il Passagrande ferito al “Riuniti”.
Non restava altro da fare. Tornarono in fretta alla jeep e raggiunsero a tutta velocità l’ospedale. Arrivarono tardi anche là: Passagrande, colpito al cuore, era già morto. Nell’osservare il cadavere di quel giovane, che la pace della morte faceva somigliare a un ragazzo, Mariconda fu preso da un impeto di collera: non era riuscito a impedire l’assassinio, ma avrebbe acciuffato l’assassino. Un immediato rastrellamento nei dintorni non aveva dato alcun risultato. Rientrato in ufficio, Mariconda sottopose i familiari dell’assassino ad un martellante interrogatorio, nel frattempo tirati giù dal letto dagli agenti e condotti in Questura.

D’un tratto uno dei familiari, una donna, stanca delle continue domande, si arrese: il giovane poteva essersi rifugiato a Montoro Inferiore presso alcuni parenti. Mariconda invitò il marito della donna a fargli da guida. Risalito sulla jeep con i suoi agenti, il commissario si lanciò sulla nuova pista. Erano passate da poco le tre di notte: tre ore dalla lite alla ferrovia, due dall’omicidio, non bisognava concedere troppo vantaggio all’assassino. Dopo una folle corsa arrivarono in vista del casolare di campagna. Avanzarono a fari spenti, poi Mariconda fece circondare il casolare, bussò alla porta. Fu subito aperto, e la cosa insospettì il commissario. Probabilmente il Lombardini era arrivato da poco a chiedere rifugio.

Naturalmente gli abitanti del casolare negarono di aver ospitato il loro parente assassino, ma impallidirono, scambiandosi delle occhiate, quando Mariconda parlò del crimine commesso dal loro congiunto. Era chiaro che essi ignoravano i fatti, e che l’idea di impegolarsi in un omicidio li terrorizzava. Non si opposero alla perquisizione, anche in mancanza di un regolare mandato. In meno di mezz’ora il casolare venne messo a setaccio, ma dell’assassino nessuna traccia.

Mariconda incominciava a innervosirsi, anche in considerazione dell’illegalità della perquisizione. Poi, d’improvviso, il suo sguardo si posò su uno dei letti: sotto di esso c’erano un paio di pantaloni e un paio di scarpe. Dunque, uno degli abitanti del casolare doveva essere scalzo e privo di pantaloni; in caso contrario, a chi apparteneva quella roba? Scese in cortile, dove la famiglia si era radunata, e mostrò gli indumenti. “Di chi sono?” – chiese. “Miei” –rispose il più giovane con tono incerto. Mariconda gli gettò le scarpe: “Indossale!”. Aveva i piedi piccoli, Mariconda se ne era accorto subito; quelle scarpe erano di almeno tre numeri più grandi. “Allora?”, insistè il commissario, ma non ottenne risposta.

Serrò il pugni dalla rabbia: era sicuro che il Lombardini si nascondesse da qualche parte, ma dove? Si accese una sigaretta, uscì fuori e diede uno sguardo intorno. Poco distante scorse una costruzione bassa: un forno di campagna. Si avviò in quella direzione, tallonato dal maresciallo Tagliaferri. Aprì la piccola porta, il forno era pieno di fascine. In preda ad un’ansia febbrile Mariconda e Tagliaferri cominciarono a toglierle e farle volar via, finchè la mano del commissario non afferrò un piede nudo. Lo strinse con forza e lo tirò verso di sé. Lombardini venne fuori in mutande e canottiera. Non oppose resistenza. Era l’alba quando rientrarono a Salerno, ma nonostante l’ora il questore aspettava il commissario nel suo ufficio: era ansioso di ascoltare il rapporto. Mariconda temeva che gli venissero contestate delle irregolarità.

Si era allontanato da Salerno, fuori giurisdizione, aveva perquisito una casa senza mandato sì, era vero, ma ogni minuto perduto sarebbe stato prezioso per l’omicida. Il questore volse lo sguardo attraverso i vetri della finestra, il sole stava nascendo dietro gli Alburni. Sorrise. Il suo commissario aveva fatto un ottimo lavoro, era questo quel che contava; e poi, forse che il fine non giustifica i mezzi?.