L'analisi

L’autonomia e la vitalità sociale contro la mafia dei roghi mirati

Continuano a bruciare beni comuni e democrazia in Campania: boschi, montagne, vegetazione e, insieme, partecipazione, giustizia e relazioni tra popolazione ed istituzioni pubbliche.
Gli incendi in corso da quasi un mese sono un attacco alla vita, ma sono anche un attacco alla democrazia e, insieme, espressione della sua crisi. È chiaro che essi stanno evidenziando i limiti dell’azione istituzionale o, per meglio dire, il grado di debolezza al quale sono state condotte.
Domandiamoci: qual è la funzione delle istituzioni pubbliche se non riescono a bloccare un attacco come quello in corso, se non intervengono chiarendo cosa sta succedendo? Se non lo fanno è perché non hanno relazioni organiche, reali, riconosciute reciprocamente con le popolazioni locali, essendo divenute scatole vuote di capacità politica e, anche, di azione amministrativa.
L’attacco mafioso degli incendi in corso sta rendendo chiara, ancora di più, questa deriva, quanto le istituzioni pubbliche, soprattutto a livello locale, siano state impoverite, derubate delle loro capacità di governo. Esse sono state ridotte a meri agenti del controllo sociale punitivo, come mostrano le recenti leggi promosse dal Ministro degli Interni Marco Minniti contro i cosiddetti abusivi divenuti espressioni delle nuove classi pericolose, mentre gli evasori continuano a stare tranquilli, in un paese in cui le tasse ed imposte non pagate ogni anno sono circa 120 miliardi di euro secondo la Banca d’Italia. E, insieme, le istituzioni si sono convertite in megafoni della retorica, come mostrano le parole sempre più aggressive quanto vuote e tanto altisonanti quanto incapaci di rispondere ai bisogni sociali di molti esponenti del mondo politico ufficiale.
E questo è accaduto perché le stesse istituzioni pubbliche sono state messe sotto attacco. La combinazione tra la riduzione continua dei finanziamenti e la gestione emergenziale di un numero crescente di politiche (dai rifiuti alle migrazioni) ha prodotto un lungo declino. Un processo di dismissione istituzionale che, senza grandi shock, piano piano, goccia a goccia, ha logorato la capacità di azione degli enti di controllo e di governo del territorio, fino a renderli inermi, in molte aree, di fronte a molteplici necessità, come l’ennesima, quella di bloccare gli incendi e la devastazione in corso, sta a dimostrare in queste settimane.
Questo forte progressivo declino ha reso troppo deboli gli enti istituzionali anche agli occhi della popolazione, che, in diverse sue parti, da tempo si mobilita, specialmente in Campania, per chiedere salvaguardia della salute pubblica e gestione ordinaria dei territori, anche se troppo spesso, e ripetutamente, senza risposte. Confermando e rafforzando il circolo vizioso del rapporto sempre più inefficace tra amministrati ed amministratori, che significa crisi della democrazia ed abbandono delle istituzioni alle stesse logiche che le hanno poste nel declino in corso: chiudendo e riproducendo il circuito vizioso.
Tuttavia, non tutto è perduto. Da una parte il tessuto istituzionale esiste ancora, è ancora in piedi, ma va alimentato in altra maniera, non più indebolito o depredato, ma rafforzato dalla partecipazione pubblica, dall’ascolto delle richieste che provengono dalle popolazioni. Dall’altra parte, il tessuto sociale non è stato azzerato dalle chiusure istituzioniali. La capacità di mobilitazione mostrata in questi giorni per salvare, con i pochi mezzi a disposizione, animali, boschi, persone e case, mostra che l’autonomia sociale e la capacità di organizzazione collettiva non si sono affatto esaurite, nonostante la crisi politico-istituzionale in atto da tempo.
Come dire? Il fuoco sta mostrando quanto siano state rese deboli le istituzioni pubbliche, ma anche quanto nella società ci siano forze capaci di combattere contro l’abbandono e contribuire a spegnere l’economia degli incendi, difendendo i beni comuni.
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