GLI ALUNNI DEL SOLE

John Steinbeck nella Positano del “buen retiro”

Lo scrittore tra i colori della “città verticale”

POSITANO - È la primavera del 1953, ad uno dei tavolini del Caffè Rosati di piazza del Popolo a Roma siedono Alberto Moravia, Elsa Morante e John Steinbeck. Lo scrittore californiano, tra le altre cose, manifesta il desiderio di conoscere qualche località dove trascorrere un periodo di riposo, lontano dal caldo e dalla confusione. “Perché non andate a Positano? - suggerisce Moravia – è uno dei luoghi più belli d’Italia, e non solo”. John Steinbeck era allora uno scrittore celebre: nel 1937 aveva vinto il prestigioso premio Pulitzer con “Uomini e topi”e nel 1939 aveva riscosso un successo internazionale con “Furore”, che vende milioni di copie e diventa, a distanza di pochi mesi dalla stampa, un film celebre di John Ford. Steinbeck, sguardo severo da difensore degli oppressi e sorriso smargiasso come quello dei pirati che amava tanto da bambino, era anche un famoso reporter : raccontava l’America degli umili, non faceva sconti al “Maccartismo” imperante e alle divisioni del Paese, all’Apartheid. Quegli articoli erano un’analisi, un atto d’accusa ma anche una lettera d’amore al suo Paese: del quale ripete il motto quasi come una preghiera, “E pluribus unum” (dalla moltitudine una cosa sola), citazione da una poesia che parlava di colori diversi che si fondono in un’unica tinta. Insomma, un “melting pot”. Nel 1962 sarà premiato con quel Nobel – a volte l’umiltà è la virtù dei grandi – che pensava di non meritare fino in fondo.

In auto verso Positano. Al suggerimento di Moravia Steinbeck ci pensa su. Ma lo stesso suggerimento verrà poco dopo anche da John Mc Knight, celebre reporter: vi aveva trascorso un anno e ne aveva ricavato un libro. Steinbeck si convince, ormai Positano è diventata una sorta di ossessione, noleggia un’auto e parte. In precedenza lo scrittore era rimasto sbalordito e sconcertato di fronte al caos del traffico nazionale, senza regole: dopo aver guidato da Venezia a Roma ne era rimasto terrorizzato. Ecco perché assume un autista. Bassano Bassani, questo il nome dell’autista, godeva di una buona reputazione e infatti una volta a Napoli guida con mano sicura e disinvolta nel traffico infernale della città partenopea. Superata Pompei puntano verso la Costa Sorrentina: A Steinbeck viene in mente una frase di una celebre canzone :”Torna a Sorrento”. Infatti lo scrittore c’era già stato nel 1943, al seguito delle Forze Alleate durante lo sbarco; era stato il più celebre reporter del conflitto mondiale in Europa, aveva raccontato la guerra degli umili e le tragedie del nostro Paese. Durante il tragitto, colli balzi dirupi e valli stringono il cuore ( e lo stomaco) allo scrittore.

E laggiù, “l’azzurro Tirreno si leccava i baffi aspettandoci”. “Positano, un sogno”. Giungono a Positano stanchi e in preda ad una leggera vertigine. Positano colpisce subito, profondamente lo scrittore : “È un posto da sogno che non vi sembra vero finchè ci siete ma di cui sentite con nostalgia tutta la profonda realtà quando l’avete lasciato”. Steinbeck ebbe la capacità di afferrare quel luogo e di sentirne lo spirito, vi trovò lo stesso abbagliante fascino della sua California. Quelle piccole case bianche, alcune con giardino, che per mancanza di spazio poggiano l’una sull’altra, una sorta di piramide affacciata sulle onde, erano una visione unica, struggente.Un continuo contrasto: la roccia cupa con i colori violenti dei fiori e delle coltivazioni; il mare e le piccole mezzelune chiare delle spiagge; la violenza eccitante del paesaggio e la dolcezza del villaggio. I pochi contadini avevano ricavato appezzamenti impossibili tra le pieghe delle scogliere e i marinai approdi poco più grandi di fazzoletti. E poi il mare che accarezza le spiagge della Marina Grande e quelle più piccole del Fornillo e di Laurito era di un azzurro omerico.

La bellezza, il mito. Il mito, pensava Steinbeck, aleggia da sempre su questo luogo incantato e diventa quasi naturale credere ad una delle leggende che ammantano il borgo. Per una donna mortale in genere basta una villa. Ma Poseidone, per ammaliare la ninfa Pasitea, che amava cavalcare nuda sul dorso di un Tritone, edificò Positano: questo luogo non poteva che essere ideato da un dio greco, potente e generoso. Passeggiando sulla spiaggia di Marina Grande lo scrittore coglieva il guizzo verde del tramonto, inseguiva i raggi che si insinuavano nelle grotte o che abbandonavano alla penombra la spiaggia del Fornillo. Ma Steinbeck non fu ammaliato solo dall’armonia di colori e di luce del luogo, fu incantato anche dalla maestria delle donne che lavoravano al tombolo. “Le dita agili delle ragazze che lavorano con centinaia di rocchetti fanno venire le vertigini, ma esse alzano la testa tranquilla, e ridono e chiacchierano come se non avessero la minima consapevolezza delle loro magiche dita”. Un miracolo delle mani.

Il sindaco-marchese comunista. Lo scrittore conosce e fa ben presto amicizia con Paolo Sersale, sindaco del paese, non un sindaco qualsiasi ma un vero e proprio personaggio: marchese e comunista (per un breve periodo), l’unico comunista del paese, nominato forse proprio per questa sua particolarità da elettori in maggioranza monarchici. Il marchese Sersale, avvocato, di madre positanese e di antico casato sorrentino-napoletano, era un aristocratico “sui generis”, i turisti stranieri lo scambiavano spesso per un pescatore: indossava pantaloni vecchi, camicie sopra la cinghia e semplici sandali. Steinbeck lo guardava con curiosità aggirarsi per il villaggio, lo stupiva il suo modo cordiale di ascoltare tutti e dovunque: su uno scoglio, al bar, o in acqua tra una bracciata e l’altra. Era sindaco da alcuni anni, dal 1945 (e lo sarà fino al 1961 e poi ancora nella metà degli anni ‘80), ed era costantemente impegnato per fare di Positano una località turistica di livello internazionale. Un’altra particolarità stupiva Steinbeck: i positanesi fingevano di ignorare la presenza del personaggio famoso, abituato ad essere fermato per una foto o un autografo. Capì che quell’atteggiamento non era dovuto a spocchia, semplicemente faceva parte della loro natura.

I leader della “Moda Positano”. Steinbeck, nel corso del suo soggiorno, ebbe modo di conoscere anche alcuni dei personaggi che di lì a poco sarebbero stati famosi, creatori di quella “Moda Positano” che avrebbe fatto il giro del mondo. Mastro Nicola, “il principe dei sandali”, semplici, di una principesca semplicità: due strisce di cuoio sul davanti del piede, e una dietro a cingere la caviglia . E poi i Di Gennaro, una vera istituzione. Anch’essi, come il sarto Vito e mastro Nicola, avevano bottega tra le scale e la piazzetta che dà sulla Marina. Come sarti erano bravissimi, ma la loro fama veniva soprattutto dalla rapidità, oserei dire dalla fulmineità con cui lavoravano. Steinbeck la prima volta che visitò la bottega dei Di Gennaro rimase colpito da un cartello affisso alla porta : “Alfonso e Maria Di Gennaro” e sotto – molto più in grande – la parola “Lampo”. Cosa voleva dire quella parola? Lo scrittore chiese a Sersale: la parola “lampo” stava ad indicare la fulmineità della consegna. Il sindaco spiegò all’incuriosito Steinbeck come funzionava: Alfonso prendeva le misure per un pantalone, le annotava con una matita su un quaderno, poi indicava con la mano la spiaggia della Marina, invitava il turista a fare il bagno e gli assicurava che al ritorno i pantaloni erano pronti. Ecco perché don Alfonso veniva chiamato “lampo”.

Gli amici e “La Buca di Bacco”. Uno dei luoghi preferiti dallo scrittore era “La Buca di Bacco”; il locale era sempre appartenuto alla famiglia Rispoli. Sino alla fine degli anni Venti era stato un caffè, “Il Caffè Flavio Gioia”. La nuova denominazione, probabilmente, era scaturita dalla fantasia degli stranieri arrivati in quegli anni Venti: russi, tedeschi, svizzeri, danesi. Il più pittoresco del gruppo, Mikhail Semenov aveva scritto un libro su Positano intitolato “Bacco e Sirene”, di qui probabilmente il nuovo nome dato al Caffè. Alla metà degli anni Trenta la Buca, grazie alla collaborazione di pittori tedeschi, aveva subito un radicale mutamento, diventando una “Boite” come ce n’era a Parigi: I muri ricoperti di bizzarri manifesti, le candele infilate nelle bottiglie, il grammofono in un angolo da cui uscivano le voci di Josephine Baker e di Fred Astaire. Alla fine della guerra La Buca divenne il night estivo per eccellenza, il più eccitante d’Italia. Steinbeck amava trascorrere molte ore in quel locale, ad ascoltare dalla voce dei pescatori e dei marinai le storie del mare. Lo scrittore ritornò altre volte a Positano, ad accarezzare le sue spiagge, ad inspirare il profumo del suo mare, ad ammirare le stelle che si chinano sulle barche dei pescatori mentre la luna, sorridente, arriva risalendo dal fondo.