«Io, la Laguna e i serial killer»

Lo scrittore Massimo Carlotto oggi a Salerno

Oggi cala il sipario su “Le notti di Barlario”, festival di letteratura noir ideato e promosso a Salerno dall’associazione Porto delle nebbie in collaborazione con le fondazioni Copernico e Carisal.

Ad aprire la giornata è lo scrittore Matteo Strukul; l’autore de la trilogia “I medici” incontra le scuole (ore 9,30) presso la fondazione Carisal in via Bastioni. Segue una visita al convento di San Michele, luogo scelto per ambientare i racconti scritti dagli allievi che hanno preso parte al concorso letterario. Nel pomeriggio (ore 16,30) ci si sposta al Museo Diocesano da cui parte la visita al “Crocifisso con il capo chino” a cura di Sabrina Prisco. Alle 17,30, si consegna il Premio Barliario per le scuole e alle 18 Antonio Lanzetta e Rocco Papa presentano “Indagini sul mare o tra i monti” di Roberto Centazzo e Katia Tenti.

Alle 19, Stefania De Caro introduce al “Noir di denuncia: i territori” con Gianluca Campagna, Gabriella Genisi, Vincenzo Maimone e Mariano Sabatini. Questa sera (alle ore 20) è atteso anche il Premio Attilio Velardi e a riceverlo è un’icona sacra del romanzo noir: lo scrittore Massimo Carlotto. Prima della premiazione, lo scrittore è il protagonista dell’incontro “Un serial killer a Venezia” con Corrado De Rosa e Brunella Caputo.

Carlotto, nel suo ultimo romanzo, “Il turista”, il protagonista uccide per frugare nelle borse delle vittime. A cosa si è ispirato?

L’idea di fondo è quella di raccontare il mondo dei serial killer partendo da presupposti diversi dal solito. Per me sono solo degli psicopatici criminali e non un mistero da scoprire. Per cui c’è chiarezza immediata nel rapporto con i lettori: racconto chi è il serial killer ma in realtà è solo una scusa. A me interessa raccontare Venezia e le sue contraddizioni e la crisi epocale che sta attraversando: il turismo, scandali come il Mose le grandi navi stanno mettendo in pericolo la sua vita. Ma c’è un’altra verità, nel romanzo: il sistema di spionaggio usa gli psicopatici per i lavori sporchi, come la tortura, perché hanno le stesse caratteristiche di chi li progetta.

Noir e territorio, quanto conta il luogo per lei?

È una caratteristica del noir italiano quella di intrecciarsi al territorio che diventa un personaggio vero e proprio. Ed è ciò che dà la spinta ad editori esteri a tradurci nei vari Paesi. Il mio personaggio è il nord-est da cui vengo, un posto in cui l’economia si fonde col sistema criminale. Io lo racconto da sempre ma lo studiano in tutte le università del mondo. Il suo “Arrivederci amore ciao” ha ispirato un successo cinematografico. Cosa ne pensa dei film tratti dai suoi libri?

Credo sia impossibile il confronto tra romanzo e film, sono concetti e linguaggi diversi. Il romanzo fa immaginare, il film fa vedere. Sono scritture diverse ed è sempre un bene che altri si approccino alla tua storia e la rielaborino. Per quanto mi riguarda, sono stato fortunato.

Perché e come ha cominciato a scrivere?

Sono sempre stato un grandissimo lettore. Per diventare scrittori noir bisogna essere esperti del ramo, solo i grandi lettori raggiungono l’obiettivo della pubblicazione. Nel ’95, mi chiesero di scrivere “Il fuggiasco” e da lì ho continuato. Osservo la realtà, la racconto e la mescolo alla finzione. Studio le trasformazioni sociali attraverso la lente della scrittura, uno strumento straordinario.

Quanto posto occupa la sua vicenda giudiziaria nella sua produzione letteraria?

Non ne parlo più. Sono passati 41 anni da quel giorno.

Il noir esorcizza o amplifica le paure?

A differenza del poliziesco che esorcizza la morte attraverso quella degli altri, e che serve ad allontanare l’ansia, il noir non è consolatorio, serve a porre delle domande.

Alessandra De Vita

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