LA LETTURA

In cielo per illudersi di essere liberi

Chi viaggia in aereo imita il volo naturale degli uccelli, ma non potrà mai essere come loro

AZ 674 - ore 22:05. Il decollo tarda. Il motori rullano, ma il decollo tarda. È una notte senza stelle, le nuvole minacciano tempesta. Decollare con il mal tempo incute paura. La notte però oscura, rende neri gli occhi. Le nuvole si confondono con il nero del cielo. Il colore di questa notte è lo stesso di quello del mio cuore. Un cuore pulsante, ma fermo. Nero, ma rosso. Un cuore stanco. Il sangue spesso fatica a passarci dentro, trova il percorso molto tortuoso. Respirare non serve a farlo defluire. A volte lo sento proprio fermarsi, il sangue. Il suo scorrere lento, nei meandri di un cuore senza amore, lo rende nero. Già, quel bel colore rosso del sangue si trasforma. Diventa nero. Sangue nero. Quello di chi ha combattuto guerre feroci, di chi ha visto morire affetti insostituibili, di chi ha subìto malvagità gratuite, di chi è sopravvissuto a chi ha generato. Nero. Così è il mio cuore in un decollo di tempesta. Nero. Guardo fuori. Un’ala enorme si staglia libera sulla pista. Luci rosse ne delimitano la grandezza. Un’ala. Simbolo di libertà. Abbiamo bisogno di macchine per volare. Non siamo stati creati per questa funzione, l’abbiamo inventata. Il volo manca all’uomo, per essere libero. Non avremo mai la serenità di un uccello. Un aereo aiuta, simula un volo di un uccello se usi tutta la tua fantasia. Un uccello enorme, forse un’aquila, che quando apre le ali domina il cielo e il mondo sotto. È così che mi fa sentire volare con un aereo: padrone del mondo sotto. Quel mondo che a piedi non riesci a percorrere in fretta, le cui strade ti fanno perdere l’orientamento, il cui cielo, nei giorni di tempesta, incute paura e schiaccia i tuoi pensieri. Con il volo ci passi in mezzo, a questo cielo, e ci voli sopra. L’aereo corre sopra le nuvole, nell’unico cielo che è dello stesso colore su tutto il pianeta. Il cielo sopra le nuvole. AZ 674 ha sempre esercitato su di me un fascino immenso, con le sue ali illuminate da piccole luci che di notte sono tutte accese. Di giorno non so, volo con lui solo di notte. È sempre uguale, enorme e bianco. Le ali stanno bene sui corpi bianchi, come quelli immaginari degli angeli. AZ 674 arriva lontano. Passa sull’Africa e attraversa tutto l’oceano. Il grande mare, “l’Atlantico”. Un mare che cambia colore e calore lungo il percorso. Un mare diverso, immenso e freddo. Un mare con cui ho fatto un patto di sangue e su cui mi piace volare, con tutte le sue tempeste che rendono il volo instabile lungo la rotta del cielo. Oggi il decollo tarda, non ci dicono il motivo. I motori smettono di rullare. Siamo fermi, immobili, su una strada lunga delimitata da piccolissime luci gialle. Finiscono nella notte, queste luci. La strada entra nel cielo scuro e ci si confonde come una via lattea, solo di un altro colore. Aspettiamo. Restiamo in attesa, come un battito di cuore che attende il successivo senza sapere se arriverà. Restiamo in attesa. È notte. Chiudo gli occhi. Cerco di far prevalere la notte. La attese negli arerei fermi mi fanno un po’ paura. Aspetti, e non sai. Aspetti di sapere. Nessuno dice. Chiudere gli occhi è l’unico modo per immaginarmi storie diverse, costruire avventure per distrarre il pensiero. È come quando cerco di dormire senza sonno: chiudo gli occhi e mi racconto storie. Invento personaggi, divento personaggi. La fantasia corre veloce, nel cinema degli occhi chiusi senza sonno. All’improvviso li apro, un volto esplode nel mio campo visivo. Sempre lo stesso. Guardo fuori. È lì, sulla punta dell’ala. Sempre lo stesso volto: quello che arriva nelle notti di sonno leggero, di cuore che batte senza ritmo. Adesso è lì e sembra reale. Un volto angelico, grassottello. Un volto sereno, con gli occhi chiusi. Arriva un annuncio, problemi di traffico. Attendiamo. “Traffico anche in cielo”? Dice un uomo dietro di me. I vicini di posto ridono. Mi distraggo, il volto scompare. Sull’ala solo le solite luci, adesso. Ho dormito, mi dico. Ho sicuramente dormito, quel volto mi compare solo in sogno. Non ricordo di aver dormito, però. Il sonno non si ricorda mai. I motori rullano di nuovo. Adesso si partirà, penso. È così. Ore 22:55, il grande uccello comincia la sua corsa lungo la sua via lattea. Corre, sempre più veloce. Corre. Poi, improvvisamente, il nulla. Nessun rumore. Senso di sospensione. Il volo. Il più grande uccello che l’uomo abbia costruito inizia il suo volo verso sud. Perché è lì che andiamo: nel sud del mondo. In un altro emisfero, con un’altra stagione, su un tropico al di sotto dell’equatore. C’è tempesta, nel cielo italiano. Tempesta sulla grande isola sarda. Vuoti d’aria. Balliamo, si dice così. Il comandante annuncia forti turbolenze, ma solo in questo cielo. Il cielo verso sud sarà sereno. Vola, la grande aquila. Vola per superare la tempesta. E la supera. Poi cielo calmo, sotto di lui. Solo cielo calmo fino all’Africa dove si incontra l’aria calda, quella del Sahara. Qualche turbolenza anche qui. Io lascio cadere un pezzo di cuore su quel deserto, ogni volta. Me ne stacco una parte, anche se di colore nero, e la lascio cadere. I pezzi di cuore passano attraverso le lamiere, non ho dubbi. Laggiù, in quel deserto, il mio pezzo di cuore cresce e si autoalimenta. E batte, con il suo ritmo. E il sangue ci circola dentro, rosso. Dopo il deserto inizia l’oceano. E allora l’aquila va, veloce. Corre, recupera il ritardo della partenza. Non ci sono turbolenze, il vento è a favore, non c’è paura questa volta. Forse si può dormire. Guardo fuori. Il volto è di nuovo lì, sull’ala. Forse non se ne è mai andato. Oppure, semplicemente, adesso lo vedo di nuovo. Bene. Viene anche lui, come sempre. I miei occhi sostituiranno i suoi occhi chiusi, anche in questo viaggio. L’aquila vola, vola verso il sole del nuovo mattino oltreoceano. Vola, l’uccello del tuono. Vola, AZ 674 Roma Fiumicino – Sao Paulo Guarulhos.