Il vescovo spagnolo che fece costruire le fabbriche sull’Irno

È sepolto in un monumento nel Duomo di Salerno Ritrovato un documento sull’orazione funebre

PAOLO ROMANO

Nel Se. ttecento è stato vescovo di Salerno assumendo un ruolo di primo piano a livello internazionale. Fu nominato congiuntamente dal re e dal papa e chiamato alla guida di una diocesi cui diede molto lustro, tanto da venire sepolto in Cattedrale, in un posto di rilievo. E’ lo spagnolo Paolo Giuseppe Francesco Raymundo y Camerasa de Vilana Perlas, chiamato alla guida della Chiesa salernitana il 5 febbraio 1723. Per la sua morte, vi furono solenni funerali e fu pronunciata un’orazione funebre che è un piccolo capolavoro di retorica. Quel documento, un libretto in carta pergamenacea di quasi trecento anni fa, è stato ora ritrovato dallo studio bibliografico Morghen che opera tra Napoli e Salerno. «La carta – spiega Gabriele Barbone, responsabile dello studio salernitano di via Masuccio – è in ottime condizioni. Dopo aver letto il testo del lungo elogio funebre sono andato in Duomo e con mia grande sorpresa ho potuto constatare che il monumento dove è sepolto il vescovo del Settecento è in un luogo centralissimo, nella basilica superiore, accanto all’altare del SS. Sacramento e poco distante dall’altare maggiore». Il monumento stesso è un capolavoro del barocco, collocato sul transetto nel 1729. La sua struttura è composta da un tabernacolo schiacciato delimitato da lesene e poggiante su un alto basamento. «Al centro – scrive Antonio Braca in “Aspetti della cultura barocca in città” – è collocato un grande ovale marmoreo contenente il bassorilievo schiacciato del prelato raffigurato a mezzobusto, indicato da due cherubini a mezz’aria. E’ interessante sottolineare che la figura dell’arcivescovo è abbastanza realistica in quanto si tratta di un vero e proprio ritratto marmoreo. Da alcuni documenti si sa che il monumento fu commissionato a Francesco Ragozzino, maestro marmoraro napoletano molto attivo nella città di Salerno nel corso del XVIII secolo. Probabilmente il monumento dell’arcivescovo Perlas costituisce una delle prime opere documentate dell’artista». Esistono anche i documenti contabili del manufatto artistico di gran pregio: «Per la realizzazione dell’opera furono pagati 425 ducati e fu stipulato anche un contratto notarile. In questo ambito culturale trova posto anche inserito un interessante medaglione, collocato nella parete della cappella De Vicariis, raffigurante a bassorilievo il canonico Biagio De Vicariis, datato 1731, già vicario della Curia arcivescovile. La fattura tesa e nervosa restituisce un’opera che raccorda la forma ritrattistica con il ruolo del personaggio, che rimanda alla migliore produzione della scultura marmorea napoletana della scuola vaccariana. Ma il nostro tondo trova delle sensibili affinità proprio con il monumento funebre di Paolo de Vilana Perlas, consentendo una attribuzione allo stesso Francesco Ragozzino». Quest’ultimo, negli anni successivi, sarà chiamato a realizzare nella cripta i mezzibusti statuari dei santi vescovi salernitani e la statua di san Matteo per la porta della Rotonda. Il vescovo iberico operò solo per sette anni a Salerno per questo, si legge nell’elogio, «in molti piansero il poco tempo che visse in questa ridente città». Nonostante il breve mandato, riuscì a compiere tre visite pastorali, al termine delle quali volle celebrare un sinodo diocesano. Ne compilò le costituzioni divise in due parti e ventidue capitoli. Purtroppo non sarà tenuto; delle costituzioni è giunta fino a noi solo una minuta.

Monsignor De Vilana Perlas diede impulso anche allo sviluppo economico di Salerno, preoccupandosi di rilanciare l’industria tessile.

Nel 1726 gli giunse una supplica da parte dei produttori di manufatti in lana dei casali della Foria affinché facesse costruire una o più “valchiere” negli stabili che la Mensa arcivescovile possedeva lungo il fiume Irno, «essendo per loro oneroso recarsi fuori dei confini cittadini per la lavorazione dei loro prodotti». A seguito di tale supplica, l’arcivescovo fece erigere sette strutture anche su terreni appositamente acquistati, sette piccoli opifici tessili che vanno a retrodatare ulteriormente la vocazione tessile salernitana.

Il vescovo completò la ricostruzione della cattedrale, dandole un aspetto barocco e demolì gli angusti locali del piccolo Seminario per iniziare la costruzione di una più ampia sede degna della città e adeguata al numero degli alunni. «Fu prodigo – si legge nell’italiano del tempo – verso gli orfani, le vedove, le famiglie povere cui diede da mangiare sfamandoli e sollevandoli della condizioni misere».

Morì a Napoli il 7 maggio 1729. Il giorno successivo il corpo venne trasportato in città e sepolto in cattedrale. L’orazione funebre ora ritrovata è l’esatta versione scritta dell’elogio che fu pronunciato nella Cattedrale di Salerno l’8 maggio del 1729.

©RIPRODUZIONE RISERVATA