musica

Il suono come un’urgenza di spazio vitale, ecco gli Inketha Anderson

Eugenio Persico e Sabina Campagna trascendono il tangibile ma sorretti da piena consapevolezza del linguaggio musicale

SALERNO. Inketha Anderson nasce dall’esigenza di suonare, dalla curiosità, dalla necessità di sperimentare e capire dove poter arrivare. Dall’urgenza di voler dire e dare qualcosa, di trovare il proprio spazio vitale. Nel progetto di Eugenio Persico e Sabrina Campagna, è forte il peso dello spirito che lo ispira e che, concettualmente, trascende tutto ciò che è tangibile ma musicalmente è sorretto da una piena consapevolezza del linguaggio sonoro.

Eugenio Persico è innanzitutto un chitarrista che ha imparato la lezione di chi ha fatto scuola, nel genere: dai semi-virtuosi del prog rock degli anni ’70 a quanti hanno portato quel linguaggio a soluzioni più estreme (Adrian Smith, John Petrucci) senza dimenticare però le basi, la storia: Wes Montgomery e Jimi Hendrix su tutti. Voce e chitarra di Inketha, che vede ai cori Sabrina Campagna, nei suoi live show, Eugenio protende verso una ricerca sonora che va dal dub all’elettronica passando per il trip-hop e il downtempo, aiutato dall’impiego di synth e software vari che estendono il suo raggio d’azione. Reduce della scena underground di una Salerno animata in passato da un discreto fermento, Persico ha iniziato a suonare nei garage e nelle aule magne dei licei, nel 1994, con la sua prima band, i Cantina Blues Band; ha poi messo in piedi gli Arise (anno 2000) con cui ha prodotto un primo Ep di inediti. Poi ha fondato gli Exxon Valdez (2002) con cui ha girato in lungo e in largo il Salernitano; erano i tempi dell’Iroko, del Brave Heart, della Cruna Del Lago (poi Six Feet Under): realtà oggi scomparse.

Nel 2006 ha incontrato Sabrina Campagna con cui ha definito i contorni del suo sentiero. «Volevamo mettere su un tributo ai Tool – spiega la Campagna – di cui poi non si è fatto nulla ma da cui è nato invece un percorso artistico condiviso fatto di più progetti». Sabrina è l’anima concettuale di Inketha, cura gli artwork di tutti i dischi e lo fa con un approccio di matrice steam punk. I due hanno fondato gli Audarya, gothic rock band, mentre nel 2012 è nato Inketha, inaugurato dal disco “Senza tempo”, debut album prodotto in completa autonomia, dai testi alla composizione delle musiche, agli arrangiamenti.

Da “Destino incerto”, il primo brano, a “Disordine”, l’ultimo del suo primo album, si percepisce la volontà, per nulla pretenziosa, di alleggerire il carico emotivo di ognuno, quasi a scongiurare un’austerità che trova la contropartita nel caos primordiale, da cui può nascere quasi una presa di coscienza. Il disco è stato un po’ il manifesto programmatico di Inkheta Anderson; sulla cover, troviamo un uomo in vestito scuro elegante, adagiato solo su di uno scoglio alle cui spalle si staglia uno scenario apocalittico: è Inketha (alter ego di Persico). Non ha il volto, ha perso la sua identità, alla sua destra ha un vortice a mo’ di colonna su cui campeggia un orologio che rappresenta la vita: è la spirale del tempo che ci ricorda che c’è una possibilità in ogni singolo istante di vita.

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