DIVINA COMMEDIA

Il Sommo Poeta sotto esame: è promosso dai “millennials”

I giovani restano estasiati da Paolo e Francesca, ma anche dal discorso di Ulisse

Quali sono le ragioni di un successo che dura da 700 anni? Cosa c’è di così avvincente in un'opera scritta in una lingua che diviene sempre più rarefatta, lontana dalla nostra, in cui i costrutti sintattici, la metrica, l’ideologia, gli stessi personaggi appaiono lontanissimi, addirittura decontestualizzati dal mondo contemporaneo? Perché eserciti di ragazzi seguono in classe le letture e i commenti dei loro docenti, soppesano del poema ogni singola parola scandagliandola nelle sue più sorprendenti sfumature, ammirano e riconoscono di questi versi la potenza espressiva delle figure retoriche che non dimenticano più, rispolverano e interpretano con spirito nuovo le “Metamorfosi” di Ovidio, la filosofia Scolastica, le Sacre Scritture? Come mai hanno acquistato molti della miriade di testi usciti quest’anno per celebrare il Sommo Poeta? Qual è il motivo per cui chiedono di partecipare, faticosamente da remoto, al “Dantedì”, scegliendo con cura le terzine che leggeranno con trasporto, tratte dai Canti che più fanno battere il cuore d’emozione per la loro bellezza eterna? Come mai, loro che sono sempre connessi, si mettono in ascolto quando a parlare sono Ulisse, Francesca, Farinata degli Uberti, Catone Uticense, Manfredi di Svevia, Giustiniano, San Bernardo, Cacciaguida e Pia de’ Tolomei? Da dove scaturisce il successo, il fascino misterioso di una lettura sinceramente impegnativa e a volte addirittura ardita per oggettiva difficoltà?

Come tutti gli appassionati della Commedia sanno, le “Lecturae Dantis” non sono un’invenzione moderna nate con Sermonti e Benigni, ma hanno origine in un tempo molto lontano, quando nel 1373 da alcuni cittadini fiorentini venne presentata ai Priori delle Arti e al Gonfaloniere di Giustizia una richiesta ben precisa: la nomina di una persona che tutti i giorni, esclusi quelli festivi, leggesse i versi di Dante. Furono subito accontentati e dovettero a ragione ritenersi soddisfatti, per il fatto che non fu scelto un lettore qualsiasi, ma addirittura Giovanni Boccaccio, l’autore del “Decameron”, un grande ammiratore del Sommo, che in suo onore aveva scritto il “Trattatello in laude di Dante”, in cui alle lodi per il poeta gli era piaciuto unire notizie curiose sulla sua opera. Boccaccio a causa della sua salute malferma, non portò a termine le “lecturae” che purtroppo durarono solo un anno, ma riuscì a segnare un solco, perché da allora la tradizione di leggere la “Commedia” in luoghi diversi, sempre in pubblico e ad alta voce, non fu mai interrotta.

Sebbene di molte altre opere letterarie si siano praticate letture pubbliche, a nessuna è riuscita questa alchimia, questa magnifica tensione all'ascolto e allo studio per ogni singola parola: solo la “Divina Commedia” riesce a catalizzare l’attenzione di un pubblico di provenienza disparata, di diverse culture che è anche multigenerazionale e che per incanto riesce a fondersi, a comunicare e a comprendersi. Nessuna come questa opera, in un mondo in cui parole in libertà rimangono sempre entità astratte, sospese nell’agghiacciante “vacuus” dei nostri giorni, sa prendere vita e dare forma e contenuto a ogni sillaba, che appena pronunciata, viene restituita al suo significato originale e profondo, riacquistando il vigore primigenio, quello in cui si compie il miracolo della fusione tra significante e il significato, tra le cose che l’autore dice e il modo in cui le dice, tra il contenuto e il suo bel modo di esprimerlo.

Solo in Dante a ben pensarci, le parole sembrano ingaggiare una lotta corpo a corpo in cui ad avere la meglio è sempre la potenza dei concetti che ogni parola trascina con sè: “Amor ch’a nullo amato amar perdona”, è un trattato d’amore e di filosofia e il “folle volo” di Ulisse è un atto di “hybris” ma anche la metafora, la lezione più bella, credibile e indimenticabile sul significato profondo dell’essere uomini. Il successo della “Commedia” è tutto qui: Dante ha messo in scena l’uomo con tutti i suoi limiti, i suoi peccati e le sue virtù, senza filtri e mistificazioni e proprio in ragione di ciò i suoi personaggi e i suoi versi sono un inno eterno alla bellezza e alla verità.

Mariella Marchetti