PREMIO VIAREGGIO

Il salernitano Rino Mele entra nella terzina per il prestigioso riconoscimento

di PAOLO ROMANO Nella finalissima della sezione Poesia dell’ottantaseiesimo Premio Viareggio-Repàci c’è anche Rino Mele. Il poeta e scrittore salernitano è nella terzina per il libro di versi “Un...

di PAOLO ROMANO

Nella finalissima della sezione Poesia dell’ottantaseiesimo Premio Viareggio-Repàci c’è anche Rino Mele. Il poeta e scrittore salernitano è nella terzina per il libro di versi “Un grano di morfina per Freud”, (Manni editore - pp. 96, euro 12), insieme a Sonia Gentili con “Viaggio mentre morivo” (Aragno) e Mariangela Gualtieri con “Le giovani parole” (Einaudi). Indipendentemente dal verdetto ultimo, che si avrà il prossimo 27 agosto, l’accesso al rush finale per Mele è un traguardo importante, considerando il prestigio del premio e la tante selezioni, fino alle ultime quattro: «L’ultima selezione – spiega Mele – ha portato ad otto la lista dei poeti in gara per il Viareggio. Nell’ultima comunicazione ho saputo che ero nella terzina per la finale». “Un grano di morfina per Freud” è sicuramente un libro singolare. Mele immagina gli ultimi istanti di vita del padre della psicanalisi. Freud è in fin di vita, afflitto da dolori lancinanti per il carcinoma alla bocca a causa del quale gli hanno asportato la mascella. Ha ottant’anni, da più di quindici lotta contro la malattia. Un supplizio che lo condurrà all’idea di anticipare la fine del dolore con un piccolo aiuto, appunto la morfina. Dietro la sua vicenda si intreccia il dramma più grande della Storia, con la genesi della seconda guerra mondiale. In quel settembre del 1939, quando Germania e Unione Sovietica si spartiscono la Polonia come un corpo da dilaniare, Freud muore. Tra il personaggio e la sua teoria, il difficile confronto si sviluppa ancor più nella parte centrale del testo che s’apre con un ricordo accecante dell'infanzia, la nudità della madre. Sono i versi più riusciti di Mele, che ravvisa l’estremo pudore del morente che ricorda il corpo nudo della madre, e – non avendo il coraggio di usare la parola nuda – sceglie il termine latino: “Nudam, ho vista nuda mia madre, scrive Freud/a Fliess, aveva due anni e il ricordo avvampa, la neve/che dispera il rosso, la cecità quando/la madre s’alza sulle punte, si curva, apre/le braccia come per volare, si raddoppia nello specchio,/ si fa muro impenetrabile, parete d'aria / e pioggia ferma”. Il libro di versi si avvale della prefazione di Gillo Dorfles e consacra Rino Mele tra i maggiori poeti del Sud.

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