“Il ritratto non vedente” Forza e dignità dei ciechi

Al museo di Paestum il percorso espositivo del salernitano Armando Cerzosimo «Si sono fatti riprendere senza occhiali per mostrare la loro forza espressiva»

di PAOLO ROMANO

O. ltre lo sguardo, per contemplare non ciò che si vede ma la possibilità della visione interiore, lì dove non è l’occhio che restituisce la vera immagine ma la mente che la pensa. “Il ritratto non vedente” è il singolare progetto fotografico di Armando Cerzosimo che ha realizzato dodici ritratti per altrettanti ciechi. Il percorso espositivo, commissionato al fotografo salernitano dall’Unione italiana ciechi ed ipovedenti, inaugurata negli spazi del museo archeologico nazionale di Paestum, in concomitanza con l’apertura gratuita dei Musei.

Lontano da stereotipi e falsi pietismi, l’autore ha voluto dare grande risalto alla forza e alla dignità del cieco. Tutte le immagini hanno una doppia lettura sul nero e sui bianchi, con questi ultimi che appaiono sempre più attenuati e lontani, mentre i neri sommergono le figure definendole con ancor maggiore vigore. L’esercizio è stato voluto con due piani precisi, il primo piano e il piano americano, per dare pieno impatto visivo alla figura fotografata ed eliminare campi ed elementi di contorno. «Tutti i soggetti - precisa Cerzosimo - hanno accettato di essere fotografati senza occhiali proprio per mostrarsi nella loro interezza e forza espressiva. La finalità è quella di diffondere la cultura dell’handicap visivo attraverso la sensibilizzazione di chi fruisce di esperienze visive di grande impatto emotivo e culturale».

Cerzosimo, che non è nuovo a progetti di fotografia sociale ed ha già collaborato con la Caritas alla realizzazione di un calendario che ritrae i senza fissa dimora ai margini delle città, spiega che il suo lavoro fotografico è nato sotto l'impulso delle necessità, come per rispondere ad un input emotivo ed estetico al tempo stesso: «Lo dovevo. Volevo poter fare in modo che al mio continuo angolare, lo sguardo si fermasse negli occhi di chi non può esprimere giudizio se non dalle sensazioni o vibrazioni che partono dalla mia coscienza, attraversano la mia voce e passano attraverso la mia macchina (oscura) fotografica. Tutto si compone, i miei dubbi, il mio stupore, il mio mettere i piedi ogni giorno sul fragilissimo cristallo che copre il mio nome ed ecco... il ritratto non vedente».

Rimane per l’artista il dubbio d’esser riuscito a trasmettere tutto, nell’assenza dell’immagine specchiata: «Forse sarò riuscito io , uomo che fa fotografie e spedisce in mille stanze piene di luce e di vento ad essere stato visto da chi mi è stato di fronte? Spero di sì, sarebbe un grande onore essere ricordato da ognuno di loro».

La mostra - che gode del patrocinio morale dei Comuni di Capaccio e Bellizzi - si propone anche di rompere il muro di quella che a volte è anche una non piena comunicazione. Il gesto d’affetto di una mamma per la propria figlia, la tenerezza tra un padre e un figlio, i giovani, gli anziani, i ciechi sono colti nella naturalezza di chi realizza pienamente la propria umanità nella vita di tutti i giorni. «Dodici ritratti, una galleria-installazione in bianco e nero che rovescia luoghi comuni e pregiudizi - scrive Erminia Pellecchia nella brochure che accompagna la mostra - L’autore entra in cortocircuito psicotico con colui che sembra docilmente farsi catturare dall’obiettivo, ma è a sua volta catturato dal soggetto-attore, che lo sollecita, invece ad una lettura dall’altra parte dello specchio. Il loro rapporto si stringe in una relazione simbolica fotografo-fotografato-fotografia dove la “camera oscura” allude alle tenebre come metafora di quello che non possiamo vedere e di quello che non potrà mai essere visto, ma, nello stesso tempo, quasi inconscio ottico, elabora la pulsione alla luce, la vertigine dell'ineffabile, rompe le barriere dell'invisibilità, ricerca una dimensione accessibile».

Pellecchia sottolinea anche la simbiosi nata da un progetto che si è sviluppato attraverso un lungo lavoro: «Cerzosimo, “da un altro punto di vista”, fa della diversità quotidianità. Per mesi è stato a contatto di quelli che poco alla volta sono diventati i suoi amici non vedenti. Ne ha ascoltato le storie, è entrato con pudore nelle loro vite di tutti i giorni ed ha scritto, alla fine di un percorso condiviso, un diario biografico-autobiografico attraverso scatti che esprimono sogni, desideri, gioia, ironia, grinta, determinazione, che raccontano lo spirito e la personalità, straordinari, di chi dell’ombra ha fatto finestra sul sole. Nella sequenza di chiaroscuri, il nero che avvolge i volti, che evidenzia occhi smarriti e vuoti ma pregni di spiritualità, vira di quadro in quadro verso la luminosità».

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