Racconti d'estate

Il rinascimento di Acciaroli 

Angelo Vassallo è il simbolo che ha inverato nel Cilento lo spirito di Hemingway

Acciaroli, inizio anni ’50. Un uomo barbuto si aggira per la piazzetta. È prima mattina, claudica leggermente, regge un taccuino, gironzola senza meta e fa domande ai pescatori, chiede dell’acucella e della lampara, il vino (?!), se e come lo fanno. Qualche ora di attività flemmatica poi sprofonda sulla seggiola in vimini di un bar all’aperto, la pancia gonfia (la nutre d’alcol a ritmo regolare), si dà a una contemplazione più estatica da fermo. Indugia su una ragazza, fresco abito estivo, l’espressione tradisce compiacimento: arriva una donna bionda e sono scintille. “What the hell are you doing?”, “Nothing, dear”; l’occhio furbo non asseconda la parola, la donna si sbraccia, inveisce, fa dietro front e bye bye, se ne torna a Napoli con l’autista e il buon vino veneto. L’uomo barbuto, taccuino alla mano, resta solitario nella pensione. Nei giorni a venire – quanti è incerto – si attacca alla pettola del lupo di mare Antonio Masarone.
Cambio scena.
L’americano barbuto rimane nelle retrovie. Qualcuno, il medico condotto, gli fa da interprete. In fondo alla piazza il vecchio ‘Ntonio racconta la sua storia a un pubblico di notabili e pescatori, donne coi bambini e ragazzi avidi di avventura, come fosse il cinematografo. Un rito solenne: il vecchio sparge il bando la mattina per la sera e al calare del sole attacca lo spettacolo. Mostra una lisca di pesce o una conchiglia levigata per cimelio e srotola peripezie di tartane, lampare, bastimenti e baleniere. Restano a bocca aperta: se li porta, tutti, aggrappati alle coffe, in viaggi ardimentosi sulla rotta di antichi vascelli, a cacciare prodigi, a schivare gli spruzzi e lo squasso delle code dei cetacei. In paese si dice che sappia domare ogni onda, che la sua fiocina pieghi il vento, che tremi, pure, al ricordo di certe burrasche. Vive solo, in una barca ancorata al molo o nella torre di pietra, come nella pancia di un veliero in secca; solo sa resistere come poche cose: un’ancora sommersa, la luce di una barca in mezzo al mare. Hemingway, così dice di chiamarsi l’americano, scrive appunti e sorride. Gira lo sguardo nella piazza e si gonfia dall’ispirazione: dove mai avrebbe detto, proprio lì ha trovato una storia.
Quasi sessant’anni dopo la piazza di Acciaroli è cambiata un poco. I bar hanno ancora i tavoli all’aperto e la darsena è il cuore pulsante del porto. Siamo nel pieno del “rinascimento”, però: suona la musica al cimitero e sotto la targa d’ingresso nell’abitato c’è scritto “il paese di Hemingway”. Pure nelle stanze nascoste, le segrete dei palazzi e dell’anima, qualcosa è cambiato.
“Tranquillo?”.
“Tranquillo”.
Due uomini si stringono la mano con uno sguardo d’intesa. Sono sempre meno diversi. Uno non ha più la coppola e le mani callose da contadino. Parla attingendo sempre meno alle pandette della saggezza popolare e sempre più ai manuali di teoria economica e agli arzigogoli della legislazione nazionale. L’altro ha la pelle sempre meno pallida e i capelli sempre meno bianchi e la schiena sempre meno appesantita dal peso dei principi. Sguscia come un pesce tra i fiati di voce delle leggi e della Costituzione.
Hanno deciso un’ammazzatina. “Ina” come la traccia che lascia nelle loro coscienze, come l’indignazione che solleva tutto intorno. Nessuno vuole farci caso: è un regolamento di conti, dicono, un’operazione “di pulizia” contro chi ha violato un codice. Al più sospirano: brutta gente e brutta storia, ma sono affari loro.
Lontano incombe l’approdo finale. Un regno in cui la sicurezza si tinge di paura e la libertà comincia dove finisce la prepotenza dei “don”. Un tetro principato in cui il governo che appare non conta e ogni decisione passa attraverso un “secondo livello”, occulto e criminoso, che insegue il tintinnio del business e considera il territorio e gli uomini che lo abitano “cosa propria”. Così si presenta quando è finito. Ma la prima pietra è piccola. Un conato di barbarie, uno sbaffo sopra le righe, uno sconfinamento.
Il 15 settembre 2010 il primo cittadino di Pollica, il sindaco-pescatore Angelo Vassallo, sta tornando a casa in macchina. Qualcuno lo affianca con una moto, forse un’altra vettura. Si ferma per parlare. Lo freddano con nove colpi di pistola, lasciandolo in una pozza di sangue all’amara scoperta del fratello. Faceva troppo, dice, intralciava la droga, l’abuso edilizio, le piaghe sotterranee del paese delle fate. Che sia camorra quella vera o qualcuno che ne ha barbaramente imitato i metodi, dopotutto non fa differenza. La prima pietra è poggiata, anche nel Cilento. Gli uomini del patto, gli aspiranti conquistatori, esultano; ma forse hanno commesso un errore. Un omicidio efferato, in una terra che quasi non ne conosce, non passa inosservato. Nove spari, precisi precisi, fanno rumore. Forse li hanno esplosi per spavalderia, infischiandosene del clamore mediatico, per mandare un segnale di brutalità spietata e senza scrupoli. Forse li hanno esplosi per “saggiare la resistenza”. Della gente e dei poteri forti, se ancora esistono, se sono ancora più forti della malavita.
L’omicidio Vassallo è il filo teso di una “prova”. La vita di un uomo vale meno della salvezza della sua terra, ma assai più dell’indifferenza, dell’acquiescenza, della connivenza, più del lerciume di certa politica e di certe coscienze. Vale più della “tranquillità” venduta alla forza spavalda dei prevaricatori, della libertà sacrificata a una logica di accattonaggio, a una morale primitiva, da pezzenti.
Dopo 7 anni il caso Vassallo è ancora insoluto, sospeso tra l’iniziativa individuale di nemici isolati e il “piano” della malavita. Eppure quella del sindaco-pescatore non è una storia triste. Di Angelo Vassallo resiste una lezione di lungimiranza e orgoglio civile, il solco di una retta via fatta di amore per la natura e oculata, perfino fantasiosa, valorizzazione del territorio. Resiste lo sguardo riflesso nel mare ultraterreno della “costa delle sirene” e quella targa all’ingresso di Acciaroli: il paese di Hemingway. Qualcuno storce il naso e giura che ad Acciaroli “Papa” non ci sia mai stato. Ma ormai non conta. Vassallo ha inverato nel Cilento lo spirito di Hemingway. Come Pisacane, come il vecchio pescatore Santiago si è trasformato in un altro Ettore redivivo per dimostrare la regola aurea dell’epica contemporanea. La sconfitta, ardimentosa sconfitta senza resa, ha una dignità che nessuna vittoria conosce.
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