Il principe in guerra nel mare di Tunisi tra galeoni e vascelli

Ferrante di Sanseverino guidò l’assalto a La Goletta Si mise alla testa delle truppe reclutate nel suo feudo

di CARMINE MARI

Il cal. do e il fetore della prigione erano insopportabili, ma l'attesa della battaglia lo era di più. Gli uomini rimasero in silenzio aggrappati alla grata della cella, raccogliendo le poche forze rimaste per scrutare l'orizzonte in attesa di una speranza. Non mangiavano un tozzo di pane da giorni e andavano avanti con una ciotola d'acqua melmosa. Eppure, se avessero avuto una sola occasione, si sarebbero battuti come leoni, anche a mani nude.

“Eccoli!” esclamò all'improvviso un ragazzino rimasto vivo per miracolo. Gli uomini presero ad agitarsi, spingendosi a vicenda per conquistare uno spiraglio al buco che si affacciava a strapiombo sulla spiaggia e non perdersi lo spettacolo. Videro sorgere, come un miraggio, centinaia e centinaia di navi: galeoni, caracche, brigantini, cocche e galee, cariche fino all'inverosimile di armi e uomini che veleggiavano spedite verso di loro.

La flotta, guidata dall'ammiraglio genovese Andrea Doria, apparve il 16 giugno del 1535, davanti a “La Goletta”, fortezza eretta a difesa di Tunisi. Sulla “Galera Bastarda” viaggiava l'imperatore Carlo V che, stanco dei pirati e del loro comandante Khayr al-Dn, detto il Barbarossa, offeso profondamente dal comportamento di Francesco I di Francia, per essersi alleato coi turchi, aveva deciso di sferrare il colpo mortale.

Il Mediterraneo del XIV-XVI sec. non era più il “mare nostrum” ma un luogo insicuro per i navigli europei, prede preferite dei pirati berberi, feroci ed esperti navigatori, audaci a tal punto da spingersi fino alle porte di Roma. Facevano razzie di uomini da destinare ai remi delle loro galere e donne da vendere come schiave o prostitute nei bordelli della costa africana. Con rapide incursioni uccidevano e stupravano senza scrupoli, paesi della costa salernitana e dell'entroterra, come San Giovanni a Piro, Vibonati, Roccagloriosa, vennero saccheggiati e gli abitanti rapiti per essere venduti o liberati dietro riscatto.

Carlo V, nei panni di novello crociato, aveva allestito una forza navale poderosa: 64 galere, 300 vascelli, 30.000 armati, cannoni e macchine da guerra, oltre ad un formidabile contingente di Cavalieri di Malta.

Ebbe parte attiva all'impresa anche Ferrante di Sanseverino, giovane barone e ultimo principe di Salerno, assieme ad un nutrito numero di salernitani e napoletani. Proprio a lui toccò il compito di guidare l'assalto della roccaforte, alla testa delle truppe reclutate nel suo ampio feudo.

L'alba era giunta e con lei la speranza di libertà per quei poveracci destinati ormai alla schiavitù. Non appena le scialuppe furono calate in acqua, dalla torre iniziò il tiro dell'artiglieria berbera. I prigionieri appesi alle sbarre trepidarono nel vedere le colonne d'acqua sollevarsi a pochi metri da un brigantino e urlarono quando un colpo centrò in pieno una barca carica di fanti che si appressava allo sbarco. Poi una salva partì dalle navi; un tuono poderoso squarciò l'aria, altri seguirono incessanti e le palle iniziarono a sibilare sopra le loro teste. Il fumo denso dei cannoni circondò il profilo delle navi, tramutandole in mostri dagli occhi fiammeggianti.

Approdato sul bagnasciuga, Ferrante di Sanseverino fece piantare il gonfalone su una duna, mentre i cannoni spagnoli vomitavano ferro e fuoco sulle mura della Goletta. Gli uomini alla grata rimasero a bocca aperta nel vedere quel fiume di picchieri, cavalieri, archibugieri prendere possesso della spiaggia e prepararsi all'assalto. Dall'alto qualcuno tirava contro di loro. Le urla e gli ordini impartiti a gran voce riempirono l'aria di tensione e paura. Dopo aver respinto gli assalti dei mori, dalla spiaggia si alzò un boato e la massa di fanti italiani si lanciò all'interno di una breccia. Si vide un giovane, biondo e ben fatto, che indossava un pettorale di ferro e la spada sollevata al cielo che incitava i soldati alla battaglia.

“Quello è Ferrante!” disse un prigioniero con gli occhi umidi nel vedere il nobile salernitano lanciarsi all'assalto. “Siamo qui” iniziarono a urlare i compagni a squarciagola. La battaglia si accese sotto di loro; dall'alto cadevano pietre, frecce e piombo, trasformando in un mattatoio la lingua di sabbia, ma i fanti italiani erano già penetrati nella fortezza. Dall'altra parte dello schieramento, spagnoli e lanzichenecchi fronteggiavano con le picche la cavalleria del Barbarossa.

Dopo giorni di combattimento Tunisi cadde e poi saccheggiata dalle milizie imperiali. Circa 20.000 prigionieri furono liberati.

Nonostante la vittoria, Carlo V non riuscì a rendere sicuro il Mediterraneo, contrastato ostinatamente dai francesi e dagli ottomani. Per tutto il cinquecento, le coste tirreniche, soprattutto iberiche, italiane e siciliane furono sottoposte ad una pressione incredibile da parte dei pirati, che facevano affidamento sulla copertura politica di grandi potenze, prima fra tutte quella ottomana di Solimano il Magnifico. La pirateria era un formidabile strumento di guerra combattuta a distanza e con armi non convenzionali, che minacciava seriamente le economie europee. Avidi predoni offrivano i loro servigi ai migliori offerenti in termini di immunità, supporto logistico e possibilità di piazzare i loro bottini nei mercati cittadini.

Enclave saracene si erano insediate in anfratti e gole remote della costa italiana, dalle quali tendere agguati ai mercantili. I piccoli villaggi costituivano un boccone succulento e persino città fortificate come Salerno, non sfuggivano alla tentazione di fare una ricca razzia. Il capoluogo più volte fu attaccato, bombardato dal mare e saccheggiato da orde piratesche, lasciando un segno indelebile nella sua memoria storica.

La spedizione di Tunisi è uno dei più importanti episodi bellici combattuti contro i pirati saraceni, guidati dal Barbarossa, al quale fecero seguito altri non meno sanguinari come Dragut o Luca Galeni, alias Ulug Alì “il rinnegato”, calabrese diventato comandante musulmano della Grande Porta di Costantinopoli, dopo aver trascorso un periodo da galeotto su una nave saracena.

La battaglia di Lepanto del 1571, vinta dalla Lega Santa, rappresentò l'ultima fiammata dell'impero ottomano, ma allo stesso tempo segnò l'inizio del declino del Mediterraneo come baricentro economico-politico del mondo. La pirateria non scomparve, ma si spostò altrove; sulle rotte atlantiche verso le Americhe, crocevia dei traffici di potenze coloniali emergenti, Inghilterra e Olanda che, con le rispettive Compagnia delle Indie, avrebbero aperto nuovi e ricchi mercati e dato vita al primo mondo globalizzato.

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