Il ponte sospeso sul fiume

Luogo per una riflessione o per un incontro con la donna che ti lancia una foto

di BRUNELLA CAPUTO

È la lin. ea di confine, quel ponte sul fiume. È un posto dove ci si ferma a prendere quello strano vento della montagna mischiato con quello del mare. È il punto di rottura dalla città vecchia. È il limbo, senza luce artificiale, in cui si aspettano gli aliti di pensiero, freddi o caldi, prima di passare nell’altra città. Quel ponte sul fiume è un confine silenzioso, quando la città riposa dopo la frenesia della notte del sabato che muore. Su quel ponte, dove il fiume Irno incontra il mare, dove le luci della Salerno di notte sono spente, dove l’unico rumore che si sente all’alba è il verso dei gabbiani o lo sferragliare di un treno solitario della vicina ferrovia, è obbligatorio fermarsi la domenica mattina presto. Serve a raccogliere pensieri, misurare emozioni, calcolare strategie, ricordare persone, sognare nuovi volti immaginari, incontrare strani occhi lucidi di una bella signora anziana. L’ho vista una domenica. Ci passo due volte al giorno su quel ponte, in orari normali, ma non l’ho più rivista. Se tornassi alla stessa ora forse potrei rivederla. Chissà. Era così bella. Il corpo sottile, i capelli bianchi, gli occhi celesti. Aveva una grande sciarpa e un lungo cappotto. Non indossava un cappello. Strano, con il freddo che c’è ancora, la mattina presto, in questo inverno che finisce. Era alta, quanto me. Avvicinandomi ho potuto guardarla negli occhi. Piangeva. Stava lì, sul ponte, nel punto esatto in cui mi fermo io, dove la ringhiera di protezione diventa rotonda e sembra fatta apposta di quella forma per affacciarsi bene sull’acqua che scorre. In quel punto preciso, però, arrivano anche i due venti per incontrarsi.

Chi si accorge di questo incontro ci ritorna per sentirli sulla faccia. “Buongiorno, signora”. Le dico. Nessuna risposta. Solo uno sguardo e un lieve sorriso con gli occhi pieni di lacrime. Non dico altro, non ci riesco. Le lacrime predominano sulle parole, sempre. Se stanno venendo fuori devi lasciarle andare, possono essere liberatorie. Possono risolvere traumi, cacciare via un pensiero doloroso per un po’, far cessare un silenzio assordante, riportare negli occhi un volto. D’inverno le lacrime diventano fredde sulla faccia. La donna se le asciuga con la manica del cappotto. Mi avvicino un po’, le porgo un fazzoletto senza dirle nulla. Le parole non servono quando le lacrime dicono. La donna lo prende e mi ringrazia con un cenno del capo. Resta lì, a piangere e ad asciugarsi le lacrime. Non riesco ad andare via. Fa freddo, ma resto lì incantata, a guardare quella figura senza cappello. Sono di fianco a lei, leggermente spostata dietro. Non voglio essere invadente, ma voglio restare. Stiamo lì diversi minuti, in silenzio. Poi lei prende qualcosa dalla tasca del cappotto. È una fotografia. La guarda, sorride, la stringe al petto. Il vento insiste, con il suo rumore. Il mare entra nel fiume o viceversa, non so. Mare e fiume si incontrano, alla fine della vita di quest’ultimo, è vero. Il fiume corre lungo un percorso, il mare sta lì ad aspettare, è vero anche questo. Ma chi può dire che l’acqua del fiume non si fermi all’improvviso e quella del mare, con la sua potenza non ci entri dentro? L’unica cosa da dire è che si incontrano, in quel punto, che è sempre lo stesso, e ci soffia sempre lo stesso vento, freddo e caldo, mischiato. La donna anziana, all’improvviso, allarga le braccia e lascia andare la foto al vento, come si lascia andare via qualcuno per un lungo viaggio. Sorride, niente più lacrime. Si gira e mi dice: “ritornerà. Ritorna sempre”. Guardo la foto portata via dall’acqua del fiume, verso il mare. Scompare. La signora si volta e va via, verso l’altra città. Si incammina lungo quel tratto di strada solitario, senza luci, con il grande albergo sulla destra a fare ombra al sole che nasce. La guardo di spalle camminare veloce. Che strano vedere una persona anziana camminare veloce. Resto sul ponte, guardo ancora quelle acque che si uniscono, sento ancora quei venti che si mischiano. L’acqua mi resta negli occhi, il vento sulla faccia. La fotografia è sparita, ma continuo a guardare per cercarla. Mi scende una lacrima, il perché non lo so, la lascio andare. Magari si mischia alle acque rincorrendo quella sconosciuta immagine. Me ne vado, passo anche io nell’altra città.

Cammino lentamente, pensando a quella strana donna. Ripasso su quel ponte diversi giorni dopo, il freddo dell’alba mi ha fatto ammalare, non alla stessa ora, però. Mi fermo al solito posto. I gabbiani entrano sul fiume, segno di mare mosso imminente. Arriva anche il solito vento mischiato, agita qualche carta in terra. Tra queste, vedo una fotografia. La prendo, è antica, l’immagine è sbiadita, corrosa dall’acqua, ma si intravede la figura di un uomo. All’improvviso alle mie spalle una voce: “ritorna sempre, glielo dicevo”. Mi volto di scatto, non c’è nessuno.

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