Il Polittico e la disputa sulla sua paternità

L’opera è conservata nel museo della Badia di Cava

Il Polittico di Cava de’ Tirreni è opera significativa del Rinascimento nel Salernitano. È stato ribadito, sulla scorta di precisissimi e puntuali documenti d’archivio riportati in luce e pubblicati nel 1977 da Simeone Leone, che esso è opera dei pittori Girolamo da Salerno e Cesare da Sesto ed è stato eseguito negli anni 1514-1515. Anzi, l’opera d’arte fu commissionata a Girolamo Ramarino da Salerno nel 1514, a cui si associò Cesare da Sesto nel 1515. La studiosa Maria Calì, ha stranamente negato la paternità dell’opera cavese a Girolamo da Salerno, attribuendola ad Andrea Sabatini da Salerno e a Cesare da Sesto. L’attribuzione del Polittico cavese, conservato nel Museo della Badia di Cava de’ Tirreni, alla mano di Andrea Sabatini da Salerno fu fatta dal Suida nel 1929. Ma già nel 1884 e poi nel 1891 il Frizzoni aveva proposto il nome del pittore lombardo Cesare da Sesto, pur in mancanza di fonti archivistiche che potessero supportare tale ipotesi.

E proprio da questa lacuna archivistico-documentaria è nato il dibattito critico, con tutte le successive ricostruzioni e le attribuzioni proposte dagli studiosi di storia dell’arte, fino al 1977. Nel 1925 Nicolini sostenne la tesi del Frizzoni, allo stesso modo fecero De Rinaldis (1928) e Nicodemi (1932). Tuttavia Ferdinando Bologna, nel 1959, riprendendo la tesi del Suida, attribuì l’opera ad Andrea Sabatini, pur evidenziando in essa la presenza di modi pittorici diversi e suggerendo, a ragione, una doppia paternità al dipinto. Anche Mario Rotili si allineò sulla stessa linea critica del Bologna, così fece pure il Kalby nel 1975.

Ma due anni dopo, nel 1977, con il ritrovamento del contratto originale dell’incarico a Girolamo da Salerno e a Cesare da Sesto di dipingere “la cona de lo altare mayore” della chiesa abbaziale cavese, stipulato a Napoli il 6 agosto 1514, ogni dibattito attribuzionistico ebbe finalmente termine. Così al dipinto cavese è stata attribuita, per sempre, la propria paternità. Sulla veridicità dei documenti d’archivio pubblicati da don Simeone Leone non vi è alcun dubbio, tant’è che nessuno storico dell’arte ha più osato mettere in dubbio i nomi dei due artisti, che ricorrono nelle cedole di pagamento della Badia di Cava de’ Tirreni.

Anzi, Francesco Abbate ha affermato che la questione della fortuna critica di Cesare da Sesto e di Andrea Sabatini è legata anche a “quella discussione sul grande polittico di Cava de’ Tirreni (Andrea da Salerno o Cesare da Sesto, o entrambi in un’opera più o meno ampia di collaborazione) che attraverserà variamente tutta la ’fortuna critica’ dei due pittori, fino a che un preciso riscontro documentario non permetterà di riferire definitivamente l’opera a Cesare da Sesto in collaborazione con Girolamo da Salerno”. Se il Polittico di Cava fosse stato dipinto da Andrea Sabatini, in collaborazione con Cesare da Sesto, come afferma la Calì, anche il nome di Andrea avrebbe dovuto figurare, a rigor di logica, sia nel contratto tra gli artisti e i committenti, sia nelle cedole di pagamento per il lavoro svolto, come è invece puntualmente documentato per Girolamo da Salerno e Cesare da Sesto. Neanche Ferdinando Bologna, che assegnava la paternità dell’opera cavese al Sabatini, dopo la pubblicazione dei documenti d’archivio ha messo in dubbio l’autografia di Cesare da Sesto e Girolamo da Salerno.

Ecco che la negazione della partecipazione all’opera cavese del pittore salernitano Girolamo Ramarino è stata definitivamente confutata e l’artista ha avuto, finalmente, giustizia storica.

Gerardo Pecci

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