Il pittore del caffè e della gente senza una storia

L’esperienza in Brasile del maiorese Antonio Ferrigno I suoi ritratti ispirati dai braccianti delle fazendas

di VITO PINTO

È stato definito "il pittore del caffè", era certamente uno di quei costaioli del gruppo dei pittori di Maiori, e Alfonso Andria, presidente della Provincia 15 anni fa, lo inserì nel novero dei salernitani con la valigia. Tutte definizioni che, per Antonio Ferrigno, hanno un loro fondamento. Innanzitutto per quel ciclo di quadri realizzati durante gli anni di soggiorno a San Paolo del Brasile, la seconda per la sua nascita maiorese avvenuta nel 1863 ma soprattutto perché protagonista di quella "scuola" pittorica, la terza per il suo improvviso partire alla soglia dei trent'anni, lasciando luoghi, amici e moglie.

Ma Antonio Ferrigno è stato principalmente il pittore dei volti della gente senza storia, braccianti delle fazendas di caffè: volti nascosti sotto cappelli di paglia, con la schiena curva. Su un giornale brasiliano del 1903 si legge: "Ferrigno è un italiano… che osserva, con l'interesse dell'artista e la curiosità dello straniero, le scene di vita e le tipologie dei contadini meticci e negri dell'interno. Si trasferisce nel loro habitat e li coglie nelle loro povere case, a mala pena tappate, con le assi a vista". E riprendeva i volti di quei pescatori che, a S. Vicente o sulla sua costa amalfitana, ripetevano identici gesti di paziente attesa. E' un mondo di fatica, di sudori, proprio come quello raccontato da Jorge Amado, "cantastorie" del popolo delle piantagioni, della gente legata alla terra sulla quale versa gocce di sudore e a volte lacrime di dolore. La mente rinvia alle fatiche dei portatori di limoni su per i maceri della costiera e ai ceramisti delle faenzere vietresi ammalati di silicosi.

Ambienti, colori, sentimenti e sensazioni di due mondi diversi e distanti, accomunati da un denominatore di nome sofferenza. Antonio Ferrigno miscelò quei mondi, seppe riprendere, nelle marine brasiliane, l'afflato d'arte che lo legava al mare della sua Maiori. Per la fatica degli uomini non aveva bisogno di ricerche: è uguale dovunque.

Sul "Correo Paulistano" del 21 marzo 1905, Alfredo Camarate scriveva: "Non sono stati vani gli sforzi che ha fatto rifugiandosi per un certo periodo sul litorale di S. Vicente in cerca di quelle impressioni che potevano dargli il mare e il cielo. Ferrigno ci ha portato da Santos e da S. Vicente adorabili marine ove il suo sguardo di artista si è immerso in fondo ai segreti delle acque e dei cieli." Erano i quadri della sua ultima mostra brasiliana: la malinconia della sua terra era già palpito di ritorno.

Antonio Ferrigno nacque a Maiori il 22 dicembre 1863 da Vincenzo, contadino, e da Maria Giuseppa Pisani. La sua formazione pittorica iniziò con Giacomo Di Chirico, pittore lucano trasferito a Napoli, il quale trascorreva a Maiori lunghi periodi estivi. Vincitore di una borsa di studio della Provincia di Salerno, fu in grado di frequentare i corsi della "scuola dei frammenti" tenuti dal salernitano Stanislao Lista all'Accademia di Belle Arti di Napoli. "Da lui - ricorda Massimo Bignardi - apprende le nozioni del disegno, il vigo. re interpretativo ed espressivo del segno e del chiaroscuro".

Sono gli anni di studio, ma anche di partecipazioni a esposizioni tra le quali quella della Regia Accademia di Brera e della Società Promotrice di Belle Arti di Genova: sono immagini di vecchi reduci, è la Napoli dell'economia del vicolo, della vivacità, dei suoni, delle "chiamate", che osserva dal suo studio al vicolo Canalone a Forcella. Una pittura "socialista", come le sue idee, che non piace a chi esprime pareri locali, così gli viene tolto il sussidio. E fu la frequentazione delle "faenzere" vietresi, del lavoro in ceramica.

I successi non mancavano e Ferrigno, nel 1892, sposò Elisabetta Capone. Poi, l'anno successivo, l'improvvisa e inspiegabile partenza per il Brasile, terra dell'avvenire. La sua pittura è immediatamente bene accolta. Su "Estado de Sao Paulo", Antonio Parreiras scriveva: "Non è per niente ordinario il nuovo lavoro dell'illustre pittore, al contrario, per noi, rappresenta una novità artistica d'elevato valore, soprattutto se l'osserviamo come un quadro"

In Brasile Antonio Ferrigno vi resterà sino al 1905; poi, ancora una volta con improvvisa decisione, fa ritorno in patria. Scrive Bignardi: "Mi piace avvolgere il racconto di una patina vagamente misteriosa, nella quale le spiegazioni logiche lasciano il posto alla fantasia. Ho voglia di credere che l'incontro con le spiagge di S. Vicente, di Santos, principalmente con il mare abbia spinto in superficie immagini di un passato non tanto remoto. Immagino Ferrigno Seduto dinanzi all'Oceano a scrutare un punto astratto sull'orizzonte, a cercare la direzione verso la sua terra. Tutto ciò mentre dipinge marine, pescatori che somigliano a quelli della sua "costiera", con le lunghe reti e le braccia di giovani distese a ritmare il tiro". Tutto, allora, scompare ed è solo aria, colore, luce mediterranea: malinconia di terra salernitana.

Ferrigno si trasferì a Salerno dove aveva vinto una cattedra di disegno, ma non si attenuano le sue partecipazioni a mostre e rassegna nazionali ed internazionali. Negli anni trenta un giornale locale riporta: "Da molti anni il prof. Ferrigno testimonia in varie località del mondo la inesauribile fioritura dell'arte nostra. Dal suo pennello escono serie infinite di paesaggi marini e montani, di costiere, di giardini colti nelle diverse luci: un solo motivo suonato con infiniti e vari strumenti". A 77 anni sul cavalletto nella vecchia casa di via Tasso, Antonio Ferrigno lascia incompiuti alcuni paesaggi della città, scorci osservati da quel terrazzo aperto sul "cuore" della vecchia Salerno.

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