Il monumento di Margherita

Salerno: il sepolcro dedicato alla regina

Antonio Baboccio da Piperno, nato a Priverno nel 1351 e morto all’incirca nel 1435, era un religioso che fu eccellente scultore, pittore e orafo. Parliamo di un artista di prim’ordine, capace di fondere elementi del linguaggio scultoreo del gotico lombardo con altri derivati dall’arte fiamminga e borgognona, appresi presso la corte napoletana dei Durazzo, con un gusto scultoreo di forte plasticismo e accentuata espressività. Fu contemporaneo del pittore napoletano Roberto di Oderisio e certamente i due si conoscevano personalmente. Al Baboccio si devono il portale maggiore del Duomo di Napoli, con la sua magnifica architettura “scolpita”, e il sepolcro della regina Margherita di Durazzo, oggi nella Cattedrale di Salerno, ma proveniente dalla chiesa di San Francesco, che stilisticamente si confronta con la tradizionale scultura funebre trecentesca di Tino di Camaino. Il sepolcro salernitano della regina Margherita di Durazzo, morta di peste nel 1412, fu voluto dal figlio Ladislao, a sua volta morto due anni dopo la madre, nel 1414. È in questo biennio che va collocata la realizzazione del monumento funebre scolpito e dipinto dal Baboccio. Si tratta di un’opera complessa «con i suoi rilievi che mantengono ancora l’originaria policromia rappresenta un caso quasi unico nel campo della scultura in marmo», come ci informa lo storico dell’arte Francesco Abbate. Quasi sicuramente la decorazione policroma fu opera dello stesso Baboccio. Si tratta di un eccellente caso, prezioso e raro, di decorazione pittorica applicata a un’opera scultorea marmorea presente nell’Italia meridionale dei primi anni del XV secolo. Antonio Baboccio ebbe dei collaboratori valenti e capaci, come ci testimonia l’iscrizione presente proprio sulla tomba di Margherita di Durazzo con il nome di Alessio di Vico, autore all’opera nel tergo della tomba, nei due angeli scopricortina, in due cariatidi e in parte nella lastra posteriore, come è stato accertato da Abbate. L’iscrizione è la seguente: “Abas antonius babosus magistro de piperno fecit cum alessio de vico suo laborante”. È quanto meno significativo, se non unico, il fatto che il maestro abbia espressamente citato un proprio collaboratore attribuendogli il ruolo di comprimario nella realizzazione dell’opera funeraria. Il sepolcro è sorretto da quattro cariatidi addossate a colonnine. Raffigurano le allegorie della Regalità, della Prudenza, della Fortezza e della Fede. Sulla lastra che chiude la cassa sepolcrale vi è il ritratto della defunta regina. Sui lati lunghi della stessa vi sono due rilievi scultorei nei quali è ritratta la regina in trono, circondata in quello anteriore dalla sua corte, in quello posteriore è circondata da monache francescane. La regina era molto devota di San Francesco d’Assisi. Infatti, il monumento sepolcrale di Margherita di Durazzo, in seguito alle leggi eversive della feudalità e con la conseguente soppressione di diversi conventi, fu spostato dalla chiesa del convento salernitano di S. Francesco e fu rimontato e ricollocato nella navata sinistra del Duomo di S. Matteo. Tutto ciò avvenne all’incirca tra il 1810 e il 1819. Il monumento funebre è stato poi restaurato tra l’ottobre 1987 e il gennaio 1988. Si è trattato di un lavoro complesso che però ha riportato l’opera a un ottimo grado di leggibilità e conservazione dei suoi caratteri originari.

Gerardo Pecci

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