«Il mio Dante tra etica e pop»

Filippo La Porta: «La scuola? Ci ha fatto odiare il meglio prodotto dall’umanità»

di DAVIDE SPERANZA

Il 750esimo anniversario della nascita di Dante Alighieri, il suo essere sempre presente non solo nella cultura italiana ma in tutte le culture del mondo, il ruolo della scuola, la riflessione profonda sulle città, su Roma, il contrasto/incontro tra modernità e senso dell’uomo, tecnologia e solidarietà. Il tutto declinato attraverso una continua ricerca di se stessi. Il critico letterario Filippo La Porta, fa il suo ingresso a Salerno Letteratura questa mattina alle 10.30 al Tempio di Pomona, con tutta la sua essenza “militante”. Lo abbiamo intervistato e, dall’etica dantesca, il discorso si è immerso nelle questioni del terzo millennio, nel rapporto tra uomo e ambiente urbano.

Lei parla di etica di Dante. Perché?

Non mi concentro sul Dante politico, né teologico. Mi interessa di più il Dante etico. Sono convinto che Dante ha qualcosa da dirci ancora oggi, egli ci parla, anche nel terzo millennio. C’è una frase di uno dei maggiori commentatori di Dante, Gianfranco Contini, che dice “Dante non sta dietro di noi, Dante sta davanti a noi”. E la filosofa Simone Weil una volta ha detto “Che cos’è il bene? Tutto ciò che dà realtà agli altri. Che cos’è il male? Tutto ciò che toglie realtà agli altri”. Ecco, questo concetto lo troviamo nel sommo poeta. Il male nasce dall’irrealtà, da una cattiva immaginazione che genera solitudine. Qui entra l’etica dantesca. Quando Dante incontra gli invidiosi nel purgatorio, questi hanno le palpebre cucite con un fil di ferro. Dante vede la folla di non vedenti e abbassa lo sguardo, perché loro non possono vedere lui e Dante pensa che non è giusto che lui veda loro. La terzina dice “A me pareva, andando, fare oltraggio, veggendo altrui, non essendo veduto”. Questa cosa la ritroviamo nel comportamento dello scrittore Albert Camus che nel 1949 va in America Latina, a Rio de Janeiro. Qui gli fanno visitare le favelas, di fronte alle quali lo scrittore abbassa lo sguardo: sente che guardandole le avrebbe oltraggiate. Oggi questo senso di ordine con il reale è imploso. Dante ci insegna a comprendere meglio le persone.

Dante viene studiato più all’estero?

Negli Stati Uniti, Dante è studiato di più e in modo diverso. Gli americani lo riconoscono come autore vicino alla loro cultura puritana. Studiosi come Charles Singleton o John Freccero, hanno un approccio meno filologico. Per loro Dante deve insegnare come comportarsi nella vita.

La scuola italiana riesce a mediare l’opera dantesca?

Sono a favore di un buon uso della cultura pop. C’è una canzone di Caparezza che si intitola “Argenti Vive” ed è ispirata ad un personaggio dantesco, Filippo Argenti. Caparezza fa un’operazione geniale, una mediazione culturale rispetto alla Commedia. La scuola ci ha fatto odiare il meglio che ha prodotto l’umanità. Tutto dipende dagli insegnanti e dalla relazione tra loro e gli studenti.

“Roma è una bugia” è il suo ultimo libro. Cos’è Roma?

È la città degli opposti. La città più maleducata del mondo ma anche la più accogliente. La città del Vaticano ma blasfema. Una città cinica ma che sa scoprire lo stupore del mondo. Tutto quello che viene a Roma muore. Il cristianesimo, il risorgimento, il fascismo, la resistenza, perfino la lega e il movimento5stelle. In realtà, è anche vero che qui tutto non finisce mai di morire. Ciascuno ogni giorno si sente immortale. A Roma l’apocalisse è sempre rinviata.

Qual è il rapporto tra scrittori e città?

Molti scrittori hanno dialogato con la città: Pasolini, Landolfi, Manganelli, Carlo Levi. Penso che è fondamentale per uno scrittore diventare consapevole dei propri luoghi. Le piazze e le strade mi comunicano ogni giorno un messaggio che ho il dovere di interpretare. Capire, nonostante la globalizzazione, in quanta misura i luoghi fisici determinano l’identità di un uomo e di uno scrittore.

Cosa significa per lei, città?

Più della metà della popolazione mondiale ha deciso di vivere in città. Ma qual è la città della globalizzazione? È un’ immensa, sterminata, incolore, anonima periferia, un non luogo. Qui dobbiamo ritrovare un senso, una dimensione urbana legata ad un’idea di modernità e di evoluzione etica, che metta insieme i concetti di smart city e di inclusione.

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